Il divorzio cinquant’anni dopo 

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Era il 1° dicembre 1970 quando il Parlamento approvava la legge numero 898, meglio nota come Fortuna-Baslini, un socialista e un liberale, riguardante il cruciale tema del divorzio.
Il 1970 costituisce uno spartiacque nella vicenda politica e civile del nostro Paese, in quanto segna l’inizio della stagione dei diritti, la stessa che, nel corso di un decennio, ci avrebbe regalato, dopo il divorzio, l’aborto, l’istituzione del Servizio Sanitario nazionale e l’abolizione dei manicomi, precedute dall’approvazione, il 20 maggio 1970, dello Statuto dei lavoratori.
Cinquant’anni dopo di quello spirito autenticamente riformista, volto ad ampliare i diritti e a rendere più moderna e inclusiva una Nazione che non si è mai liberata del tutto dai cascami del fascismo, è rimasto poco o nulla. Per fortuna, va detto che in quegli anni siamo comunque riusciti nell’impresa di fronteggiare il terrorismo e la Strategia della tensione senza mai perdere la testa. Con tutti i suoi limiti, infatti, la classe dirigente dell’epoca seppe avere il senso dello Stato anche al cospetto di tensioni sociali fortissime; tensioni che minavano la democrazia alle fondamenta e che solo la coesione fra sindacati, partiti e mondo industriale riuscì a contenere e ad arginare.
La legge sul divorzio fu il frutto di una presa di coscienza collettiva. Vide la luce soprattutto grazie all’impegno delle donne, su tutte Nilde Iotti, la quale ebbe il merito di condurre su posizioni di apertura e progresso un PCI inizialmente riluttante, poiché timoroso che venissero alterati equilibri consolidati nei decenni e, soprattutto, che la messa in discussione di quello che allora appariva come un tabù potesse provocare una drammatica svolta reazionaria in un’Italia che si era appena lasciata alle spalle la strage di piazza Fontana.
Socialisti, liberali, comunisti, radicali, i cattolici del NO e il vasto fronte che voleva un’Italia più giusta e più europea ottennero, dunque, un risultato straordinario, confermato dal referendum del maggio 1974 e destinato a scardinare molte altre incrostazioni di un sistema ormai insostenibile, a cominciare dal divieto di abortire che dava vita all’orrore degli aborti clandestini per mano delle cucchiare d’oro.
Nel dicembre del 1970 venne aggredita l’ipocrisia, ponendo finalmente a fondamento della famiglia l’amore e non più la costrizione e compiendo una significativa opera di emancipazione della donna e di affermazione della sua dignità. Fu un altro passo verso la cittadinanza compiuta per l’intera comunità nazionale, contro chiusure, bigottismi e ingiustizie d’ogni sorta. Venne sconfitta la reazione clerico-fascista che voleva intrappolare l’Italia e tenerla prigioniera di un passato che aveva la forma delle catene. Fu una dura sconfitta per i mandanti e gli esecutori di piazza Fontana, per gli animatori dei moti di Reggio e per tutti i fascismi che, allora come oggi, impediscono al nostro Paese di essere, fino in fondo, una democrazia matura. Fu il primo passo di un lungo cammino che non si è ancora compiuto, ma senza quella battaglia e quella vittoria referendaria nessuna conquista successiva sarebbe mai avvenuta.
Alle donne e agli uomini che hanno reso possibili tutti i progressi successivi non può che andare la nostra gratitudine, soprattutto ora che di riformisti autentici ne abbiamo più che mai bisogno.

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