Verdone settanta

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I settant’anni di Carlo Verdone costituiscono un importante spunto di riflessione. Verdone, infatti, non è solo un attore e, meno che mai, un semplice comico, proprio come non lo era Alberto Sordi, emblema della romanità verace ma meno maschera di quanto non credano alcuni commentatori. Verdone infatti, al pari di Sordi, è innanzitutto un personaggio spirituale, dotato di una profondità d’animo, di una dolcezza e di una gentilezza di cui pochi dispongono, specie di questi tempi. I paragoni fra i due finiscono qui perché ognuno è se stesso ed è figlio del proprio tempo. Sordi ha conosciuto il fascismo, la guerra, la ricostruzione; Verdone è figlio del boom, dell’Italia del benessere, di una società migliore, almeno nei primi decenni della sua vita, rispetto a quella infestata dalla violenza e dalla propaganda di regime con cui dovette confrontarsi da ragazzo il suo maestro. Diciamo che entrambi hanno amato e raccontato Roma in tutte le sue sfaccettature, prontamente ricambiati da una città tanto cinica quanto capace di sorprendenti slanci di generosità e di umanità, quasi di tenerezza, nei confronti di chi ha avuto la capacità di diventarne simbolo dopo esserne stato plasmato.
Carlo Verdone possiede l’ironia naturale di chi ha il gusto della risata e la malinconia intensa di chi comprende la fragilità della vita, la complessità delle relazioni, la mutevolezza dei tempi. Tutti i suoi film, anche se esilaranti, hanno sempre un retrogusto amaro. Il coatto di “Viaggi di nozze”, ad esempio, è un soggetto divertentissimo ma, al contempo, inquietante, un monumento al degrado, alla solitudine interiore, alla distruzione sociale cui già allora stavamo andando incontro. E così tutti gli altri, perché Verdone è un fantastico osservatore della comunità e del mondo, a cominciare da una Roma che oggi stenta a riconoscere, di cui ammira la bellezza ma comprende il declino, per la quale soffre, come si soffre per un amore perduto o per la devastazione di ciò che si è visto all’apice del suo splendore. Gli manca la Roma dolente, silenziosa e lieve degli anni della gioventù, la Roma in cui d’estate la luce e i colori erano abbaglianti, si udiva il mormorio delle fontane e i ragazzi erano allegri, l’uno diverso dall’altro, proiettati verso il futuro.
Oggi un po’ ovunque, non solo a Roma, regna la tristezza, prevalgono la noia, la rabbia e lo sconforto; tuttavia, sapere che Verdone c’è ancora, che presto uscirà un suo nuovo film, che potremo leggere ancora le sue interviste e che avremo ancora la possibilità di assaporare la sua saggezza rustica e ricca di valori rende più sopportabile questa stagione straziante.
Grazie Carlo! Auguri di cuore!

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