Elezioni: il sovranismo che si compiace di tubare con la destra estrema non riesce finora a passare

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I ballottaggi a livello nazionale e le elezioni comunali in Sicilia hanno mostrato, pur nella loro diversità- capoluoghi di provincia, comuni medi e piccoli- una linea di tendenza di conferma della stabilità dell’attuale governo Conte, anche per mancanza di alternativa. Stabilità che potrebbe essere messa in crisi solo da una paventata scissione dei pentastellati.

A livello nazionale su nove capoluoghi di provincia in ballottaggio sei sono stati conquistati dal centrosinistra e tre dal centrodestra, il centrosinistra nei comuni sopra i quindicimila abitanti è passato da 41 a 51, mentre il centrodestra da 41 a 34 che comunque a livello generale risultata maggioritario rispetto al centrosinistra.

Tuttavia non si registra lo sfondamento della Lega al Sud, è riconfermato al secondo turno quanto era emerso nel primo: il sovranismo che si compiace di tubare con la destra estrema non riesce finora a passare.

L’alleanza delle forze di maggioranza a livello comunale nei nove casi in cui si è concretizzata- tra i quali Pomigliano d’Arco e Termini Imerese-  ha avuto una significativa affermazione tanto da essere indicata come sperimentazione per le elezioni amministrative del prossimo anno.

Tuttavia c’è da valutare, senza compiacimento, perché in Sicilia a Termini Imerese la lista unitaria giallorossa ha vinto al primo turno, mentre a Barcellona Pozzo di Gotto è stata fatta fuori.

Inoltre sindaci uscenti, di centrosinistra a Marsala, pentastellato ad Augusta, sono usciti fragorosamente sconfitti dal centrodestra (senza la Lega).

Amministrazioni uscenti di centrosinistra anche di piccoli comuni come Caltavuturo, S. Mauro Castelverde e altri, sono state sostituiti da liste civiche di centrodestra.

Uno degli elementi da analizzare è il fallimento di quel civismo dietro cui si sono camuffati partiti di centrosinistra come il Pd per recuperare il consenso perduto dei propri elettori a causa del distacco dai ceti popolari e produttivi.

Il centrosinistra, cercando un’intesa unitaria tra tutte le forza progressiste non può nascondere i propri simboli di partito come se si vergognasse della propria identità.

L’unità, il campo largo dei progressisti, dovrebbe, prima di tutto, promuovere il collegamento con i territori urbani e rurali, i ceti produttivi, gli sfruttati e i precari, i disoccupati e i poveri, tutti gli uomini e le donne vittime della disuguaglianza territoriale, di genere e di benessere e porre l’obiettivo prioritario di un nuovo modello di sviluppo nel quale i diritti civili e politici siano accompagnati dal principio di ridistribuzione delle ricchezze prodotte.

Bisogna tenere in conto la remunerazione del lavoro e del profitto nel rispetto della dignità umana e del fine sociale della ricchezza prodotta.

Infine per riportare tutti i cittadini alla politica bisogna lavorare per ricucire la fiducia verso la classe dirigente.

La prossima legge elettorale dovrà recuperare l’impegno politico dei cittadini restituendo loro la possibilità di scegliere chi eleggere, dunque senza più listini e liste bloccate, decisi da partiti, la cui vita democratica si è molto raggrinzita negli ultimi decenni.

Se si vuole ridare vigore alla democrazia rappresentativa, bisogna cogliere anche quanto l’attuale pandemia del Covid-19 sta imponendo a tutti.

Occorre spendere bene i soldi europei per riconvertire le politiche industriali, agricole, infrastrutturali, quelle della conoscenza, della scuola e dell’ università, della difesa ambientale secondo obiettivi concreti di ecosostenibilità e partecipazione dal basso dei cittadini.

La pandemia ha accresciuto lo spirito di solidarietà sociale, di giustizia sociale in contrasto con gli egoismi di classe e di appropriazione predatoria della ricchezza.

E’ una magnifica leva che le forze progressiste devono saper maneggiare come dice anche Papa Francesco rivolgendosi a tutte gli uomini e le donne del pianeta.


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