Laico memento mori

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Bisogna prepararsi alla morte. Lo dicono i sapienti, lo dicono gli uomini di religione, quando invitano a provvedere nel modo migliore affrontandola di petto, sapendo che c’è e non demorde. In genere, l’uomo evita il problema, che però si para imperiosamente davanti agli occhi quando ci si accorge che nella propria pingue biblioteca alcuni libri cominciano a puzzare di muffa. Memento mori: ecco la morte che giunge, e quella dei libri è per il bibliofilo ruvida, aspra immagine della fine, ancor più di quella umana.

Quella dei libri non è la muffa dei cibi, non è quella dei muri umidi. È una muffa subdola, che si forma indisturbata: non si vede quando arriva; si riconosce solo quando si annusa il pezzo contagiato. L’inebriante odore del libro nuovo, l’inalazione cui ci si abbandona dopo il delirio dell’acquisto, dilegua nel libro che giace – non letto – da anni. Crolla la lusinga: ora è un libro guasto. Non resta che ricomprarlo, per continuare a non leggerlo, ma almeno per fare in modo che il senso della morte sia prorogato. Non così la nostra, che ci attende paziente dietro l’angolo, e che il libro ammuffito egregiamente rammenta. Dunque la formula laica del memento mori – come per il teschio sul tavolo della mensa conventuale – può essere quella di avere molti libri, e abbandonarsi al corrotto abbraccio della loro implacabile rovina, senza sperare di poter risolvere il problema – come dicono gli esperti – arieggiando i volumi, chiudendoli in un sacchetto di plastica per due giorni nel congelatore, spazzolandone le pagine con setole morbide, cospargendole di talco mentolato.

Sciocco è pensare di poter fiaccare il vizio dei libri (l’illuso rimugina: «Riuscirò a fare a meno dei libri, riuscirò a liberarmi di loro»). Sciocco credere di poter sfuggire al richiamo laico della morte. Dopo la prima piacevole dose, i libri ci dominano, e dovremo annusarne prima o poi la muffa, l’odore del marcio che avanza. È una mania: non il male oscuro che Giuseppe Berto ha narrato senza virgole e senza mai andare a capo nel suo vasto romanzo, ma il male chiaro che lo psichiatra annunciò al paziente Dante Arfelli, l’autore dei Superflui: quello che c’è ma ti lascia lucido.

Il maniaco dei libri soffre di male chiaro: sa di essere malato, ma continua lucidamente, freneticamente, a comperarne. Inattuabile perfezione sarebbe per lui avere solo i libri che legge, acquistarli e leggerli, uno per uno. Il male inizia infatti il giorno in cui si comincia a comperare libri che si pensa di leggere, cosa che poi non si farà. Per alcuni sopraggiunge la peggiore complicazione: il piacere dell’oggetto in sé, il gusto di collezionarlo. Fase fecale – dicono gli psicoanalisti – alludendo inavvertitamente al fatto che prima o poi quei libri puzzeranno, ma di muffa. E in quell’esalazione si percepirà la morte. Perché la zeppa biblioteca privata diventa sempre una cosa che marcisce assieme al suo padrone. Memento mori del laico.


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