Riflessioni sulla conversione di Silvia Romano

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Come è noto, la volontaria, cooperante della “Onlus Africa Milele”, Silvia Romano venne rapita il 20 novembre 2018 in un villaggio a 80 Km. da Malindi e consegnata al gruppo “Jiadista” di “Al Shabaab”, una organizzazione somala affiliata ai terroristi di “Al Qaeda”.

Dopo diciotto mesi l’ostaggio è stato liberato – (sembra dietro pagamento di un riscatto di 4 milioni di €uro e, mentre il ministro Di Maio ha smentito la notizia, il portavoce di “Al Shabaab”, ha dichiarato che l’ammontare del riscatto verrà utilizzato per acquistare armi necessarie al gruppo terroristico per continuare la “guerra santa”) – e, pertanto, la Romano ha fatto rientro in Italia, accolta, all’aeroporto di Ciampino, dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La Romano è scesa dall’aereo, con il capo coperto, vestita con l’ibaya”, (la tunica che indossano le donne islamiche), ed ha immediatamente dichiarato, di fronte ad una moltitudine di giornalisti, inviati, fotoreporter, la propria “spontanea” conversione alla religione islamica e di aver cambiato il nome di Silvia in “Aisha” (come la terza sposa del profeta Maometto), e di non aver subìto violenze.

Ora, non vi è dubbio che il sequestro – per di più se ad opera di feroci e sanguinari terroristi e se prolungato nel tempo – costituisca un evento traumatico di indicibile portata che segna la vittima per tutta la vita, per cui ad essa si deve la più ampia solidarietà e vicinanza e non si può non esultare per l’esito positivo della vicenda, respingendosi con forza al mittente le inaccettabili, indegne parole intrise di odio di alcuni leghisti. Ma la “spontanea” conversione della cristiana Silvia Romano alla religione islamica desta perplessità e sconcerto, subito fugati da due autorevoli giornalisti, il direttore de “L’Espresso” Marco Damilano e il direttore de “Il Fatto Quotidiano” Marco Travaglio che hanno definito la decisione della Romano una “sua libera scelta” e, quindi, erano “fatti suoi” sicché non era il caso di parlarne.

Deve, però, osservarsi che ritenere che una ragazza di 23 anni (epoca del sequestro) – la quale trovasi in un perdurante stato di grave prostrazione e di angoscia, nelle mani di un gruppo di feroci terroristi, adusi ad uccidere, e che si ispirano, nel compimento delle loro gesta, appunto,  alla religione islamica – abbia voglia di abbandonare la fede in cui crede e che le dà sicuramente conforto in quella drammatica situazione e di abbracciare quella cui si ispirano i suoi fanatici carcerieri, è tesi assolutamente insostenibile.

Si può, invece, più verosimilmente ritenere che la prigioniera abbia finto, (forse anche per comprensibili ragioni di convenienza ed opportunità onde acquisire la benevolenza dei sequestratori), per aderire alle pressanti richieste di conversione da parte dei suoi carcerieri che per essi rappresentava già un’importante vittoria. Ed è questo il punto focale della vicenda. In ogni sequestro dei “Jiaadisti” c’è il momento della conversione; per i terroristi islamici – interpreti (recitius: fanatici) del Corano – ottenere, invero, l’adesione all’Islam di una “infedele” è sempre una vittoria. Di qui, fortissime questioni psicologiche sulla vittima, pressanti richieste, incessanti portate, visioni, ascolto, lettura del “libro sacro”, prospettive di una possibile liberazione, ecc.; sistemi usati (invano) anche per il sequestro, ad opera dei talebani, dell’inviato di “La Repubblica” Daniele Mastrogiacomo, (durato, però, fortunatamente, solo due settimane), come raccontato dallo stesso giornalista.

Comunque sia, solo il tempo potrà risolvere l’arcano della conversione: in futuro sarà possibile verificare se la Romano rimarrà in Italia continuando a professare la religione islamica o si avvicinerà nuovamente a quella cristiana, ovvero ritornerà in Africa per continuare la sua attività di volontariato, questa volta sorretta (e protetta) dalla fede musulmana; così come sempre il tempo ci dirà se sono vere quelle illazioni provenienti da vari organi di stampa e, cioè, di un suo ritorno in Somalia per rivedere uno dei suoi carcerieri con il quale avrebbe contratto matrimonio islamico.

Allo stato, una sola cosa è certa: la fotografia di Silvia Romano – vestita da musulmana e convertitasi  “spontaneamente” all’ISLAM – ha fatto il giro del mondo, ma soprattutto ha fatto il giro dei paesi islamici con innegabile, formidabile, tornaconto di immagine per una banda di tagliagole che inneggiano alla “Jihad”.

Allora, il diritto dei cittadini all’informazione impone che venga chiarita una circostanza di non poco conto: il Capo del Governo e il Ministro degli Esteri erano a conoscenza, per essere stati informati dagli uomini dei servizi di sicurezza e dagli agenti che la scortavano, che la Romano indossava abiti musulmani e che aveva preso il nome della moglie-bimba di Maometto e avrebbe dichiarato “urbi et orbi” che si era convertita all’Islam?

ANTONIO ESPOSITO (già Presidente di sezione della Corte di Cassazione)


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