Primo Maggio. Il valore del lavoro

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D’improvviso, dopo anni e anni trascorsi a denigrarlo e a prendere in giro chi si batteva affinché fosse caratterizzato da dignità, diritti e tutele per tutti, è tornato protagonista il lavoro. Oggi, Primo maggio, nel giorno che da oltre un secolo è consacrato alla sua festa e nell’anno in cui, fra pochi giorni, il 20 maggio, si celebrerà il cinquantesimo anniversario dello Staturo dei lavoratori, ci rendiamo conto della region d’essere della nostra Costituzione.
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: sul lavoro, non sulla libertà o su altri concetti astratti. Democrazia e lavoro nella stessa frase perché senza il lavoro non esiste neanche la democrazia e senza la democrazia il lavoro altro non è che schiavitù e sfruttamento. Non a caso, Di Vittorio e tutti coloro che si sono battuti per anni affinché venisse regolamentato da uno Statuto, parlavano di piena attuazione della Carta, di portare la Costituzione in fabbrica e di inverarla là dove soffrono e si battono i più deboli.
Il lavoro come valore, dunque, come cardine della società, come fondamento essenziale del vivere civile. Il lavoro inteso non solo come stipendio o profitto ma, più che mai, come progresso e strumento essenziale per la coesione nazionale e, volendo allargare l’orizzonte, direi anche internazionale. Il lavoro come realizzazione dell’uomo, dei suoi studi, della sua cultura e del suo assumersi una parte importante di responsabilità nella costruzione della società. Il lavoro, che drammaticamente manca o, se c’è, è indegno, vilipeso, mal pagato, senza prospettive e senza domani. Il lavoro dei giovani, dei precari, dei braccianti, di coloro che annegano nei voucher e non possono in alcun modo pensare alla pensione. Il lavoro che non costruisce più la vita degli esseri umani e, pertanto, ha smesso di essere il pilastro della nostra società, provocando di conseguenza il collasso dei partiti, la crisi dei sindacati, lo sfarinarsi delle istituzioni e, naturalmente, la perdita di fiducia in se stessi e nel prossimo che è la ragione principale per cui oggi è così difficile assistere a un minimo di senso civico.
Il lavoro, cui Brodolini e Giugni, avevano regalato prospettive e diritti, il lavoro che aveva riequilibrato i rapporti di forza nella società, il lavoro che aveva consentito alle masse di organizzarsi, finendo col beneficiare persino quelli che, all’epoca, si chiamavano “padroni”, il lavoro che aveva consentito dell’Italia di risollevarsi, crescere e trasformarsi in una potenza mondiale, il lavoro che è alla base del nostro stare insieme e del nostro sentirci amici, compagni e fratelli, il lavoro oggi non c’è. E nelle piazze vuote, in una San Giovanni in cui non si svolgerà alcun Concertone, in un Paese costretto a vivere da due mesi via Skype, nel trionfo di una virtualità che a lungo andare potrebbe avere conseguenze psicologiche devastanti, in quest’Italia provata, stanca, afflitta, insicura e terrorizzata per il proprio domani è necessario innalzare il vessillo del nostro articolo 1. Perché se siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro è evidente che i due princìpi siano inscindibili e che, crollato uno, è automatico che venga meno anche l’altro.
A cinquant’anni dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori, nel giorno in cui si ricorda la strage di Portella della Ginestra e nella fase storica in cui abbiamo visto cadere sul lavoro tanti poveri cristi che stanno soffrendo in prima linea per salvare la nostra vita, in un momento così delicato è doveroso porre al centro del dibattito pubblico europeo il tema del lavoro che verrà, prendendo atto che senza un’occupazione stabile e di qualità l’Europa stessa non avrà più alcuna ragione di esistere.
Diciamo che, se dovessi fornire un’immagine di cos’è per me il lavoro, direi che sono i mattoni che costruiscono il muro dell’edificio in cui risiediamo e la piazza in cui si incontrano le nostre strade quando ci vediamo per sentirci comunità, nella lotta come nella gioia. La casa e il lavoro: non a caso, sono i due temi cruciali della disgregazione sociale degli ultimi dodici anni, quelli su cui sono sorte alcune positive utopie, a cominciare da Podemos, e anche numerose distopie, sparse sotto varie forme nelle democrazie occidentali sempre più fragili e in guerra con se stesse.
Primo maggio: ritroviamo in questo silenzio che ci affligge, nelle nostre strade e nelle nostre piazze vuote il messaggio dei costituenti, strettamente legato a un’altra ricorrenza, quella del 25 aprile, senza la quale nulla di tutto ciò di cui ci siamo occupati in queste riflessioni sarebbe stato possibile.

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