Nenni e Rendina: un’altra idea d’Italia

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Di Pietro Nenni, scomparso quarant’anni fa all’età di ottantotto anni, ricordiamo soprattutto il suo essere socialista, libertario e giacobino. E poi ne ricordiamo l’umanità, la fierezza e la grandezza d’animo. Ricordiamo di Nenni la capacità dialettica, gli aforismi taglienti con cui si impossessava della scena in campagna elettorale e la straordinaria cultura politica che lo condusse dapprima ad affrontare da protagonista la delicata stagione del frontismo con Togliatti e poi la non meno significativa stagione del centro-sinistra con Moro.

Pietro Nenni, nativo di Faenza, un galantuomo che aveva conosciuto la fame, l’esilio, la miseria. Da bambino, sua madre rubava ogni giorno un dito di latte a coloro cui andava a consegnarlo per portarlo al suo bambino che era in collegio. Il socialismo entrò nella sua vita come una sorta di dimensione naturale: non avrebbe potuto aderire ad altra corrente filosofica, il suo riscatto non sarebbe potuto passare per altra strada che quella della battaglia politica e dell’impegno pubblico in favore degli ultimi e degli oppressi.

Amico di un giovane Benito Mussolini, condivise col futuro Duce il carcere ai tempi della guerra di Libia, prima che l’anti-interventista di Predappio si trasformasse in un disumano guerrafondaio.

Entrambi valenti giornalisti, entrambi uomini di cultura, Nenni era un socialista a ventiquattro carati, Mussolini un opportunista. Eppure, l’affetto tra i due, benché impossibile, era rimasto persino negli anni in cui uno era il padrone d’Italia e l’altro uno dei suoi più fieri e accaniti oppositori.

Quando erano in esilio a Parigi, raccontava il vecchio Pietro a Biagi, la domenica mettevano il rosmarino sulle patate, cosicché i vicini credessero che c’era l’arrosto e che anche i Nenni mangiassero l’arrosto.

Quando il leader socialista era a Parigi, nel carcere di Fresnes, dopo l’ennesimo arresto nella Francia di Vichy, venne condotto al Brennero e consegnato a due carabinieri italiani: pare che sia stato proprio Mussolini a salvarlo dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Vi finì, invece, la sua terza figlia, Vittoria, detta “Vivà”, che morì ad Auschwitz nel luglio del ’43, a soli ventisette anni.

E così, quando bussò alla sua porta una povera crista, rimasta orfana e vedova, Nenni non esitò a prendersi cura di lei: la donna in questione era Edda Ciano Mussolini.

“Giustizia è fatta” titolò l'”Avanti!” per commentare la fucilazione di Mussolini, e fu proprio Nenni a suggerire il titolo ma senza mai smarrire la profonda umanità, mitezza e gentilezza d’animo che lo caratterizzavano.

Visse con sofferenza la scissione saragattiana di Palazzo Barberini, quando il futuro presidente della Repubblica abbandonò i socialisti per dar vita ai socialdemocratici, intuendo che la scelta del frontismo avrebbe condotto il PSI all’opposizione, alla luce dei nuovi scenari internazionali determinati dall’inizio della Guerra fredda, ma non ruppe mai i rapporti politici, dedicando l’intera vita alla ricomposizione dell’unità socialista e non rassegnandosi mai alle divisioni drammatiche che hanno sempre dilaniato la sinistra italiana.

Un leader visionario, innovativo, capace di uscire di scena al momento opportuno, al termine di una vita spesa interamente in difesa delle idee che aveva maturato da ragazzo, nei giorni delle lotte operaie e della celebre Settimana rossa.

Anche per questo, in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa, la sua figura non può che rimandarmi con la memoria a quella di un altro uomo straordinario che ho avuto, invece, l’onore di conoscere e intervistare: Massimo Rendina, partigiano, giornalista, direttore del telegiornale, una personalità dotata di una forza d’animo encomiabile, rimasto partigiano nel cuore per tutta la sua lunga vita (non a caso, lo incontrai nella sede nazionale dell’A.N.P.I), conclusasi l’8 febbraio 2015 all’età di novantacinque anni. Il prossimo 4 gennaio Rendina avrebbe compiuto cento anni, e a noi piace pensare che sia ancora qui, con il suo coraggio, la sua passione civile e l’intensità delle sue parole e dei suoi gesti.

Ricordo ancora quel pomeriggio di quasi quindici anni fa in cui ebbi l’onore di conversare con lui. Ricordo la mia emozione, il mio impaccio e, poco dopo, la mia tranquillità, quando mi sentii a mio agio grazie alla sua cordialità e alla sua capacità di porsi nei panni di un ragazzino alle prime armi che andava a intervistare un mito. Una persona squisita, di cui avvertiamo tutti la mancanza.

Nenni e Rendina: un’altra idea d’Italia.

P.S. Dedico quest’articolo alla memoria di Pino Daniele, una delle voci più significatve del panorama melodico napoletano. Un costruttore di sogni e di speranze, un punto di riferimento per quanti non intendono arrendersi al male, un uomo che non ha mai smesso di ragionare a colori e di esprimersi di conseguenza. Ci ha detto addio cinque anni, a soli cinquantanove anni, ma la sua musica, al pari dell’inestimabile ricchezza delle sue canzoni, per fortuna rimarrà con noi per sempre.

Roberto Bertoni


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