LA MEMORIA CONTRO I FANTASMI DEL FASCISMO

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DI SANDRA BONSANTI

“27 gennaio. L’alba. Sul pavimento, l’infame tumulto di membra stecchite, la cosa Somogyi…i russi arrivarono mentre Charles ed io portavamo Somogyi poco lontano. Era molto leggero. Rovesciammo la barella sulla neve grigia. Charles si tolse il berretto. A me dispiacque di non avere berretto». Basterebbero queste poche immortali righe scritte da Primo Levi a conclusione di “Se questo è un uomo” a raccontare quel giorno, il 27 gennaio del 1945, quando l’Armata rossa entrò a Auschwitz. Oramai il campo era quasi vuoto, erano rimasti circa duemila prigionieri: molti altri erano partiti per la “marcia della morte”; un milione e più sterminati nei forni.

Ritrovare Levi aiuta a tornare al senso autentico di quella liberazione. Ci porta al significato profondo del Giorno della Memoria, anche se il tempo è un tempo diverso da quello attuale, tempo di grandi celebrazioni, di parole importanti, di promesse (“mai più”). E anche di ragionamenti sul nostro presente, sul fascismo di oggi, altro secolo, altro millennio, stesso timore: se è accaduto una volta come impedire che accada ancora?

Domanda a cui i più giovani vorrebbero avere una risposta che desse loro certezze. Mentre gli anziani sperano che la memoria sia utile, conoscere l’orrore serva a preservare. Un’illusione, però. Il primo ad accorgersi del pericolo perenne del fascismo fu proprio Levi, quando pubblicò nel 1976 un’edizione “scolastica” di “Se questo è un uomo”, dedicata alle risposte alle domande che riceveva, dai giovani ma anche nelle lettere degli adulti.

Lo scrittore ricorda che nel ’46, quando stava scrivendo il suo libro, appena tornato a Torino, «il nazismo e il fascismo sembravano veramente senza volto: sembravano ritornati al nulla, svaniti come un sogno mostruoso, giustamente e meritatamente, così come spariscono i fantasmi al canto del gallo». Non molti anni dopo però, scrive Levi, «l’Europa e l’Italia si sono accorti che questa era una ingenua illusione: il fascismo era ben lontano dall’essere morto, era soltanto nascosto, incistato; stava facendo la sua muta, per ricomparire poi in una veste nuova, un po’ meno riconoscibile, un po’ più rispettabile, più adatta al nuovo mondo che era uscito dalla catastrofe che il fascismo stesso aveva provocata». A sollevare il sospetto dello scrittore furono il riapparire sulla scena di «certi visi non nuovi», certe «vecchie bugie», «certe figure in cerca di rispettabilità, certe indulgenze e certe connivenze».

Sappiamo cosa accadde in quel dopoguerra: i mille compromessi dovuti ai patti e agli accordi internazionali, processi non celebrati, addirittura i nomi dei carnefici nazisti e dei fascisti di Salò nascosti nel famoso “Armadio della vergogna” scoperto quasi mezzo secolo dopo da Franco Giustolisi, in un palazzo romano sede della procura generale militare. Insabbiare, dimenticare. De Gasperi si barcamena tra un governo e l’altro. Primo Levi osserva. Non odia però, ci racconta. «Io non sono un fascista, all’odio antepongo la giustizia». Un sentimento che non deve esser confuso col perdono. «No, non ho perdonato nessuno dei colpevoli, né sono disposto ora o in futuro a perdonare alcuno».

Non odia, non dimentica e non perdona Liliana Segre. «So che farei una bella figura dicendo che ho perdonato. Qualcuno mi ha detto che se perdonassi potrei mettermi il cuore in pace. Non è così e poi mi chiedo: chi sono io per perdonare? La Shoah non è solo quello che è stato fatto a me personalmente e ai miei cari ma ciò che i miei occhi hanno visto fare a tantissimi altri esseri umani in un modo così demoniaco che non è immaginabile. Perdonare per me equivale a dimenticare. Come potrei dimenticare? Sarebbe un insulto per tutti quegli innocenti che ho visto morire. In questa ultima parte della mia vita ho parlato tanto di Shoah, ma la parola “perdono” a me non è mai uscita».

Il Giorno della Memoria. Per riflettere su quei fantasmi, sul fascismo “incistato” che tanto preoccupava Primo Levi. I più anziani, come la sottoscritta, e alcuni bravi giornalisti ormai da più di un anno mettono insieme il triste album dei fantasmi. La nostra preoccupazione non era condivisa da molti che sostenevano: non ci sono rischi di fascismo per la democrazia italiana, meglio non gridare al lupo. Altri hanno spezzato il capello in quattro per trovare una definizione “moderna” di fascismo.

Nel giorno della memoria ricordiamo anche una definizione che Pietro Nenni dette nel 1922 quando salutò per sempre il suo ex compagno Benito Mussolini.«Ignoro che cosa diventerai, ma sono sicuro che tutto quello che farai sarà bollato dal ferro rovente dell’ arbitrio perche’ ti manca il sentimento della giustizia. Viviamo in un tempo “ingiusto”, questo lo sappiamo un po’ tutti. Ma un mondo di ingiustizie può diventare fascista.

la Repubblica Firenze, 22 gennaio 2020

 

Da libertaegiustizia


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