“Santa subito”, la storia di un femminicidio batte i big

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Il film di Alessandro Piva sulla storia di Santa Scorese vince a Roma contro “giganti” come Scorsese e Norton. Una storia di stalking finita con tredici coltellate. [Di Marcella Ciarnelli]

Santa Scorese, 23 anni, sorridente e disponibile ragazza barese, studiosa e religiosa ma anche sportiva, milanista, sorcina. E’ la prima vittima riconosciuta di stalking. Dopo tre anni di persecuzioni non fermate da numerose denunce è stata assassinata sotto la sua casa di Palo del Colle il 15 marzo del 1991 dall’uomo che l’ossessionava senza concedere tregua a lei e alla sua famiglia. Minacce, messaggi intimidatori sul cruscotto della macchina, apparizioni improvvise ovunque, dall’università alla chiesa, tentativi di violenza.

Tredici coltellate per farla finita

E alla fine tredici coltellate inferte per spegnere la vita di una giovane donna senza colpe e condannare ad una sofferenza senza fine la famiglia. Un atto inaccettabile pagato con dieci anni di galera.

La vicenda raccontata nel docufilm Santa subito di Alessandro Piva ha vinto il premio del pubblico, l’unico riconoscimento previsto per la selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Ed ha consentito ai sessanta minuti di narrazione di una tragica storia vera, dedicati “a chi deve sopravvivere”, di battere con un voto massiccio  i 32 altri concorrenti tra cui giganti come The Irishman di Martin Scorsese e Motherless Brooklyn di Edward Norton.

 

La disperazione di una famiglia

A ricordare la vita, i sogni, l’impegno di una ragazza cui è stato impedito con una violenza inaudita di vivere appieno la sua storia  di donna nel film ci sono le testimonianza di papà Pietro e di mamma  Angela, della sorella Rosamaria e del cognato Mario, dei nipoti Simonetta e Adriano e dei padri spirituali della giovane che aveva aderito al movimento dei Focolarini e voleva diventare missionaria. Il destino che si era scelto emerge dai suoi diari con imprevedibile forza. Per lei è iniziato un processo di canonizzazione.

 

Nel film emerge con forza, attraverso parole semplici e ricordi, la tragedia collettiva di una famiglia che ha vissuto, alla fine impotente, il viaggio verso la fine della loro congiunta. Cosa potevano fare se non denunciare, controllare, accompagnare? Eppure la disperazione per l’epilogo annunciato non è lenita dal tempo che è passato. Ventotto anni dopo la mamma dorme ancora poggiando il capo sul cuscino della figlia, l’unico oggetto che ha tolto ad una stanza che è rimasta immutata nel tempo. Ed il padre continua ad interrogarsi sul perché lui non ha ceduto all’istinto di spezzare gambe e braccia a quell’uomo ossessivo. Rendendolo inoffensivo e forse riuscendo così a salvare la figlia.

Ancora la colpa è delle donne

Ma lui poliziotto non poteva farlo. E’ consapevole di non poter fare altro che controllare e denunciare. Affidarsi alla legge. Anche se fisse nella memoria ci sono le parole di un magistrato rivolte alla figlia: “Si faccia accompagnare piccola com’è. Avesse voluto farle male lo avrebbe già fatto”. Era il 1989. Trent’anni dopo Bruno Vespa durante una intervista a Porta a Porta fatta ad una donna vittima di molestie ha usato le stesse parole: “Se avesse voluto ucciderla l’avrebbe uccisa…dai”. Possibile che nulla cambi?

Dodici minuti di applausi

Ci sono le leggi, c’è una nuova consapevolezza testimoniata dai dodici minuti di applausi alla prima del film e dal voto del pubblico, ma lo stalking e il femminicidio continuano ad essere una piaga. Non è arrivato il tempo in cui la violenza non sarà più la soluzione scelta dagli uomini per affermare il loro inaccettabile diritto a decidere della vita di una donna che osa negarsi. “Per deporre le armi degli uomini c’è bisogno di un cambio di pensiero. In questo momento l’Italia non è un paese per donne” è l’amara considerazione della sorella di Santa.

Francesco Bellomo e Carrefour

D’altronde questo è il Paese, solo per restare a questi giorni, in cui è stata archiviata l’indagine su Francesco Bellomo, il magistrato che imponeva look e comportamenti alle allieve che frequentavano i suoi corsi. Per il Gip le sue non erano né molestie né minacce. E poi la maglietta messa in vendita da Carrefour su cui in due vignette stampate veniva suggerito di buttar giù con una spinta una donna colpevole solo di parlare. E’ stata prontamente ritirata dal commercio dopo le polemiche. Ma perché era stata ideata e prodotta?

Il film è stato presentato alla Festa dall’Apulia film Commission, dalla Fondazione con il Sud e dalla Giraffa Onlus, che dal 1997 gestisce il centro antiviolenza “Paola Labriola” a Bari, inserito nella rete di Reama-Rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto.

La presidente della Giraffa, Maria Pia Vigilante, ricorda di aver già portato la storia di Santa nelle scuole, nei convegni, nei seminari rivolti all’Ordine degli avvocati di Bari. “Il regista ci ha contattate, noi ci occuperemo di accompagnare questo film ancora nelle scuole e in altri luoghi per sensibilizzare sulla tematica della violenza contro le donne”. “In quegli anni si denunciavano le molestie o la violenza privata – precisa Vigilante – Oggi lo stalking è un fenomeno sotto la lente di ingrandimento, tanto è vero che ad agosto abbiamo avuto con il Codice Rosso un ulteriore inasprimento delle pene. I centri antiviolenza, però, chiedono di rafforzare la prevenzione, che passa dalla sensibilizzazione nelle scuole, dall’uso del linguaggio di genere”.

Molta però è la strada ancora da fare.

Da giuliagiornaliste


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