La carta bipolarismo Zingaretti-Salvini

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L’Umbria è una piccola regione abitata da 700 mila persone ma il trauma politico è enorme. Il tonfo elettorale è stato terribile, simbolico di una crisi pericolosissima. Nicola Zingaretti ha perso l’Umbria, una storica roccaforte rossa, una regione amministrata da cinquant’anni dal Pci-Pds-Ds-Pd. Il centro-destra a guida salviniana ha trionfato con quasi il 60% dei voti.

Il 26 gennaio potrebbe andare anche peggio: il Pd può perdere perfino l’Emilia-Romagna in elezioni regionali insidiose. Il patto civico anti Matteo Salvini con il M5S non ha funzionato: i cinquestelle  in Umbria hanno subito una disfatta con il crollo al 7% dei voti, il Pd ha scontato una grave sconfitta con il 22%.

L’intesa grillini-democratici penalizza tutti e due gli alleati del governo giallo-rosso. Zingaretti dovrà rivedere l’intera strategia. Sul piano delle alleanze il segretario del Partito democratico considera fallita la scelta dell’alleanza strategica con i pentastellati fortemente voluta da Dario Franceschini anche per le elezioni regionali. Sul piano delle scelte vuole far rispettare la missione di «discontinuità» affidata al governo Conte due, quello dell’improvvisa alleanza con i cinquestelle dopo la rottura dell’accordo populista tra Salvini e Di Maio.

Tra molti dubbi  Zingaretti vuole continuare a governare insieme ai grillini per altri tre anni, ma è pronto anche alla crisi se necessario. All’assemblea nazionale dei sindaci del Pd ha avvertito: il governo «va avanti fino a quando riesce a dire e a fare qualcosa di utile per il Paese, altrimenti perde senso».  A Sky Tg 24 ha aggiunto: «La maggioranza deve cambiare passo». In sintesi: se ci saranno altre risse con i grillini tipo quelle sulla bozza della manovra economica la scelta sarebbe quella della rottura e delle elezioni politiche anticipate.

Luigi Di Maio è sotto botta. Molti cinquestelle chiedono le sue dimissioni da capo politico per il flop elettorale in Umbria dopo quello nelle europee di maggio. In molti avevano contestato e contestano il governo con il Pd visto come l’omologazione al Sistema. Solo il deciso intervento di Beppe Grillo in favore dell’intesa con i democratici aveva fatto rientrare i tanti no all’esecutivo giallo-rosso. Di Maio cerca di parare i colpi. Ha detto basta alle alleanze con il Pd nelle elezioni regionali: «Questo esperimento non è praticabile» perché in Umbria «non ha funzionato». Il governo giallo-rosso andrà avanti, ma Di Maio torna alle convinzioni delle origini: «Il M5S va meglio quando corre da solo». Prende tempo, non vuole il voto anticipato perché teme lo sfaldamento dei cinquestelle.

In caso di crisi Zingaretti avrebbe un piano B. Se ci fossero le elezioni politiche anticipate, reclamate dal segretario della Lega, le affronterebbe con una nuova coalizione di centro-sinistra mentre Di Maio (se fosse ancora in sella) andrebbe da solo col rischio di un disastro. Probabilmente il segretario democratico sarebbe sconfitto da Salvini ma sarebbe a capo di una consistente opposizione mentre Di Maio sarebbe ridotto a dirigere una forza marginale. Finirebbe il tripolarismo sorto con le elezioni politiche del 2013. Si tornerebbe al bipolarismo tra il centro-destra di Salvini  e il centr0-sinistra di Zingaretti.


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