In ricordo di un grande giornalista televisivo, Carlo Mazzarella

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Se si scorre la sua filmografia, chapeau!… Si passa da Mario Soldati (“Le miserie del signor Travet”), a Giuseppe De Santis (“Riso amaro”); da Mario Monicelli e Steno (“Guardie e ladri”), ad Alberto Lattuada e Federico Fellini (“Luci del varietà”); da Tinto Brass (“Il disco volante”) a Francesco Rosi (“Lucky Luciano”); non credo, tuttavia, di allontanarmi dal vero se dico che il grande pubblico lo ricorda, allampanato, parlantina sciolta, senza accento e u po’ buffa, naso aquilino e gran ciuffo, in ruoli a fianco al grande Alberto Sordi (“Un americano a Roma”), o l’immenso Totò (“Totò a colori”, “Totò e le donne”, “Totò e Carolina”…): film che tuttavia non ama ricordare.

Carlo Mazzarella, genovese trapiantato giovanissimo a Roma, in questi giorni avrebbe compiuto cento anni. Il sogno (e il rimpianto) di sempre: sfondare nel teatro, recitare, poter essere un grande attore come i suoi amici di ragazzo: Alberto Sordi, Adolfo Celi, Vittorio Gasmann…E’ lui a coniare il titolo dell’autobiografia del grande Vittorio: “Un grande avvenire dietro le spalle”. Per un po’ respira l’aria di palcoscenici famosi: quelli calcati da Sergio Tofano ed Anna Proclemer. Ed eccolo, assieme a Luciano Lucignani, Luigi Squarzina; e con Ennio Flaiano, a cavallo tra giornalismo colto e raffinato (“Il Mondo” di Mario Pannunzio), cinema (il sodalizio, per esempio, con Fellini), e interminabili pomeriggi al caffè Aragno. Proprio da Flaiano assorbe ed eredita curiosità per le cose del mondo e una vena di beffardo umorismo.

Non sfonda, e ripiega nel giornalismo: “Il Giorno”, “Il Messaggero”, infine approda in RAI. Irriverente, fondamentalmente anarchico, laico e insofferente nei confronti del mondo democristiano imperante in RAI, ma al tempo stesso anticomunista irriverente, appena viene varato il TG2 vi si rifugia. I suoi reportages, al pari di quelli di Giò Marrazzo dovrebbero costituire materia di studio obbligatorio, nelle università di giornalismo; impareggiabili le interviste a Salvador Dalì, Walt Disney, decine di altri personaggi dello spettacolo e della cultura. Inviato speciale, nutre un amore speciale per gli Stati Uniti. Ancora oggi straordinario da vedere il suo “Viaggio tra i negri d’America” per il quale viene insignito della Medusa d’oro per l’inchiesta filmata.

Ma sono tanti i servizi e le inchieste in giro per il mondo, stilisticamente perfette, ma caratterizzate soprattutto da una straordinaria capacità di parlare al pubblico: doti che gli derivano dal suo saper essere insieme telecronista, giornalista colto, uomo con il senso dello spettacolo. E’ tra i pochi che sa commentare ‘a braccio’, senza un ‘gobbo’ da leggere, in presa diretta; dotato di indiscussa eleganza, acuto, colto, dice quello che pensa, pensa quello che dice. Popolare, in cambio non fa molta carriera. Non se ne duole, quel che gli preme, è vedere con i propri occhi, raccontare senza pregiudizio.    Liberale nel senso più ampio e classico del termine, mi piace ricordarlo per un episodio che dà la cifra del personaggio.

A Mazzarella devo la “molla” per uno dei miei primi libretti, “Storie di ordinario razzismo”. Pensate, siamo nel 1990. Già allora i germi della peste di oggi…

Mazzarella dagli schermi del “Tg2” racconta un episodio avvilente, che poi viene ripreso anche da “Le Monde” e“The Herald Tribune”. Una donna, di nazionalità eritrea, in Italia da dodici anni con regolare permesso e passaporto italiano, è seduta in autobus; sulle ginocchia il figlio di pochi anni. Salgono due figuri: “Tu sei negra, devi stare in piedi, i sedili sono per i bianchi”.

Molti dei presenti si schierano con i due figuri; anche per loro una nera deve lasciare il posto a un bianco. Solo in tre (e uno è di nazionalità indiana), cercano di difendere la donna. I tre, assieme alla donna (e al figlioletto) sono costretti a scendere dall’autobus alla prima fermata.

Mazzarella denuncia l’episodio, e ci aggiunge del suo: “Roma è una città profondamente razzista, sia chiaro una volta per tutte”. Esagera? Va bene, esagera; ma lo si ascolti ugualmente. Qualche titolo per sostenere quello che dice, ce l’ha. Ha sposato una donna americana, di colore. Un figlio sangue misto. Si è poi risposato con una filippina. La donna oltraggiata sull’autobus si chiama Amitee Debretizon, lavora a casa sua come domestica. E’ come un fiume in piena: “Noi ci teniamo a parlare e pensare come persone tolleranti, capaci di muoverci e comportarci alla stessa maniera, anche con quelli che non hanno lo stesso nostro colore di pelle. E’ una balla enorme. Questa è una città razzista. Sono razzisti ovunque, sugli autobus, per strada, in automobile, al cinema. Insomma, dovremmo proprio vergognarci…”.

Vergognarci di che cosa?

Potrei scrivere un libro terribile, se solo decidessi di raccontare tutti gli episodi di intolleranza di cui sono stato testimone. Io lo vedo come i romani e gli italiani in genere vedono le persone di colore. Quando si deve indicare uno un po’ imbranato, che cosa si dice? Handicappato. Sì, sono parole dette così, per abitudine; ma se uno in famiglia ha un handicappato, come la mettiamo? Per non dire che quando dobbiamo indicare qualcuno che è sporco, cosa diciamo? Che è uno zulu, un beduino…Insomma, se dobbiamo parlare di uno che non è pulito, in pratica diciamo che è un nero, cioè un negro…”.

Due le proposte avanzate da Mattarella per mettere un piccolo argine: “Chiedere alle TV di rifiutare gli spot pubblicitari che mettono in ridicolo gli stranieri: i cinesi che ridono come imbecilli sulla Muraglia; il buon nero che dice “Buana”; gli orientali con il coltello tra i denti a caccia di tonno…”.

L’altra proposta?

Sbloccare finalmente il film “Il leone del deserto”, mai arrivato nelle sale cinematografiche. Un caso di censura che ricorda da vicino il Minculpop”.

Il leone del deserto” è un film del 1979, un kolossal girato con capitali libici, marocchini e kuwaitiani, dal regista siriano Moustapha Akkad. Presentato ovunque, con attori del calibro di Athony Quinn, Oliver Reed, Irene Papas, Raf Vallone, Rod Steiger, Gastone Moschin, vietato in Italia. Anzi: a suo tempo c’è perfino stata una protesta presso l’allora governo libico, perché il film descrive come sanguinari i soldati italiani al comando del maresciallo Clemente Graziani. Un film che racconta i capitoli per nulla gloriosi dell’impero fascista in Africa: episodi che possono non piacerci, ma che comunque fanno parte della nostra storia; vicende e atrocità ben documentate, per esempio, da Angelo Del Boca. “Che senso ha vietare quel film?”, si chiede Mazzarella. “Quali fantasmi vogliamo conservare nell’armadio della cattiva coscienza?”.

Ecco, “Carletto” Mazzarella, come lo chiamano tutti in RAI può essere ricordato in tanti modi, per quello che ha realizzato e come; a me piace ricordare il Mazzarella che con molto anticipo lancia l’allarme sui germi di una peste che in questi giorni vediamo dilagare e non sappiamo più bene come contrastare.


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