La lotta alle mafie è una priorità di questo governo?

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Il caso Siri, la legittima difesa, gli sbarchi degli immigrati, sono tutte azioni di distrazione di massa che cercano di distogliere l’attenzione dal vuoto sostanziale del governo gialloverde verso alcuni problemi del nostro Paese: mafie, corruzione ed evasione fiscale. Per fare un esempio reale, solo il 15% degli italiani sa che dal 2017 al 2018, gli sbarchi sono diminuiti in maniera più che significativa. Che la legge sulla legittima difesa oltre ad essere pericolosa servirà a ben poco tenuto conto che i casi in Italia non superano le due dozzine. Che il sottosegretario Siri ha patteggiato una condanna per bancarotta e che quindi la sua specchiata incensurabilità era già stata compromessa in precedenza. Tutto ciò artefatto in maniera scientifica distrae il cittadino dai problemi reali che invece sono ben altri. Un governo che ha quasi il 60% dei consensi dovrebbe, senza se e senza ma, considerare lotta alla criminalità organizzata una priorità assoluta, ma al contrario la politica sembra non volersi assumere la responsabilità di considerarla tale. Si sottovaluta (con dolo o colpa?) l’estrema pericolosità delle mafie perché manca il coraggio da parte della politica di intraprendere azioni efficaci nella repressione del crimine organizzato. Che le mafie in questo momento sono in ginocchio in Italia è una grande bugia. Un dato è assodato: a oggi restano irrisolti e mai affrontati problemi essenziali che riguardano i rapporti mafia-politica che si sono determinati nello scenario politico-istituzionale italiano. Le mafie oggi concorrono alla produzione della politica agendo all’interno della cd. società civile in vari modi: uso politico della violenza, formazione delle rappresentanze nelle istituzioni politiche ed economiche, controllo sull’attività politico-amministrativa. Il ruolo delle mafie nelle campagne elettorali, il controllo del voto, la partecipazione diretta di membri delle organizzazioni mafiose o di soggetti a essa legati alle competizioni elettorali e alle assemblee elettive, sono tutti problemi che i Governi che si sono succeduti non hanno mai voluto affrontare. Il controllo sulle attività economica, politica e amministrativa si realizza attraverso rapporti con gruppi politico-economici e apparati burocratici, dagli enti locali alle istituzioni centrali, e sviluppa a una tipologia variegata che va dallo scambio, limitato o permanente, all’identificazione-compenetrazione, all’affinità culturale e alla condivisione degli interessi. Le mafie sono dentro e con lo Stato in piena simbiosi d’intenti soprattutto quando quest’ultimo rinuncia al monopolio della repressione, legittimando l’azione mafiosa attraverso l’impunità, tutte le volte in cui alla mafia sono concessi pezzi di territorio dello Stato senza minimamente opporsi. Giovanni Falcone oltre trent’anni fa già richiamava l’attenzione sulla criminalità dei colletti bianchi, sulle connivenze e le collusioni di rappresentanti delle pubbliche istituzioni, sulla convergenza d’interessi di vari soggetti col potere mafioso, per rilevare l’esigenza di elaborare la fattispecie del concorso in associazione mafiosa per persone esterne all’organizzazione ma collegate con essa, nella convinzione che la convergenza d’interessi costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita delle mafie. La criminalità organizzata italiana ha sempre mostrato una grande capacità di elasticità e di adattamento al mutare del quadro politico e al succedersi dei detentori del potere. Così essa è stata, esclusivamente o prevalentemente, liberale, democristiana e ora è legata ai soggetti politici affermatisi negli ultimi mesi alla guida del Paese. Rilevante il comportamento dei mafiosi nelle fasi di transizione, quando varie forze politiche sono in corsa per il potere. In questo clima i processi ai politici e ai rappresentanti delle istituzioni incriminati per i loro legami con la mafia hanno avuto risultati sconfortanti circa l’accertamento della verità e l’intreccio tra il potere del crimine e la criminalità del potere. La criminalità organizzata continua a corrompere, a intimidire e infiltrarsi nel tessuto sociale, economico, politico e democratico del Paese, ma chi governa non sembra per nulla interessato al problema. La lotta alle mafie e alla corruzione non sembra essere nei pensieri dei partiti che attualmente siedono in Parlamento. Il Governo non s’interessa di mafie, mentre, le mafie s’interessano del Governo e delle sue azioni politiche. La criminalità organizzata è un fenomeno variabile e parassitario, che si è già adattata alla realtà politica del momento storico in atto. Sbaglia, e di grosso, chi consideri le mafie un problema meridionale. Oggi ormai queste organizzazioni criminali hanno una dimensione globale infiltrandosi nelle decisioni politiche attraverso il voto di scambio e i diversi fenomeni corruttivi. Le mafie sono oggi un problema politico e democratico di dimensioni transnazionali. Per questi motivi, contro la criminalità organizzata si dovrebbero opporre forti reazioni sul piano politico e sociale. Per riportare in luce un vecchio discorso di Paolo Borsellino, va rimarcato che la politica non deve soltanto essere onesta, ma anche apparire tale, perché le sentenze possono operare solo sul piano giudiziario, identificando reati e colpevoli, con tutte le dovute garanzie per gli imputati, che non possono essere condannati sulla base di sospetti, un partito, invece, deve conoscere le categorie dell’opportunità, dell’intransigenza, della trasparenza che coinvolgono spesso le sue componenti. Sui siti istituzionali di alcuni ministeri (cfr. Ministero degli Interni) si legge la celebre citazione di Borsellino, “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Al contrario oggi stiamo assistendo a un’altra campagna elettorale (quella delle prossime elezioni europee) in cui l’influenza mafiosa sul sistema politico, sociale, economico e democratico è pressoché ignorata. Ci sono forze politiche che si candidano alla guida del governo dell’Unione europea e trascurano completamente il tema, altre lo trattano in maniera superficiale o macchiettistica e soltanto pochissime dedicano alla questione qualche misera parola, spesso vaga e inutile. Si tratta di un silenzio, una rimozione, che, colpevole o meno, deve preoccupare e non poco: perché se la criminalità è organizzata e transnazionale, deve essere organizzata e transnazionale anche la politica antimafia. Sempre che voglia davvero opporsi alle nuove mafie che stanno conquistando spazi sempre più ampi.

(Vincenzo Musacchio, giurista e presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise).


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