Faceva l’usuraio senza il permesso del clan. Cold case risolto a Cosenza dopo 8 anni

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COSENZA. Ucciso perché voleva fare uno sgarro al clan. Dopo ben otto anni la Dda di Catanzaro è riuscita a risolvere un cold case. Così gli agenti della squadra mobile di Cosenza hanno arrestato il mandante e l’esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Ruffolo, un pregiudicato assassinato nel novembre del 2011 durante un agguato mafioso nella città dei Bruzi. Sarebbe stato Roberto Porcaro, 35enne ritenuto dagli inquirenti esponente di spicco della cosca Lanzino-Patitucci dominante a Cosenza e provincia. Mentre Massimiliano D’Elia, 33 anni, sarebbe stato l’esecutore materiale di quel delitto maturato all’interno della stessa organizzazione criminale.
Attraverso un’intensa attività investigativa e soprattutto anche grazie alle dichiarazione di oltre otto collaboratori di giustizia è stato possibile risolvere quell’omicidio che ha permesso di ricostruire le delicate dinamiche della ’ndrangheta cosentina. Infatti, secondo le indagini – coordinate dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e dal sostituto Camillo Falvo, la vittima sarebbe stata punita perché a un certo punto aveva deciso di fare l’usuraio senza il consenso del clan. In questo modo, non avrebbe quindi confluito tutti i soldi, ottenuti imponendo il pizzo, nella bacinella della cosca.
I due arrestati sono, adesso, accusati di omicidio, aggravato dal metodo e dall’aver agevolato l’organizzazione mafiosa, oltre che di detenzione illegale di armi. Dopo otto anni, gli inquirenti sono riusciti a scoprire chi quel giorno del novembre del 2011, a bordo di uno scooter di grossa cilindrata affiancò un’Alfa Romeo Giulietta, guidata dallo stesso Ruffolo che si trovava in una delle zone centrali della città. La vittima venne colpita in più parti e morì durante la corsa verso l’ospedale. Subito si capì che l’omicidio aveva una matrice mafiosa, ma fu difficile individuare i presunti responsabili. Ecco perché sono state determinanti le dichiarazioni di diversi pentiti, che già da tempo, stanno aiutando gli inquirenti a ricostruire tanti tasselli del mosaico ’ndranghetistico calabrese.

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