Serbia: nuove gravi pressioni sui media indipendenti

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L’ennesimo caso preoccupante di minacce e pressioni sui media serbi non allineati al potere, questa volta sotto attacco c’è anche il nostro corrispondente da Belgrado Dragan Janjić

Belgrado. La scorsa settimana, nel corso di una trasmissione televisiva, Suzana Vasiljević, consigliera per l’informazione del presidente serbo Aleksandar Vučić, ha mostrato una lista di 17 media che, stando alle sue parole, attaccano il governo serbo. Si è dato così corpo ai sospetti che la leadership al potere stia stilando liste di media “sgraditi”, ovvero indipendenti.

In Serbia ci sono oltre 1000 testate giornalistiche regolarmente registrate, per cui quei 17 media citati dalla Vasiljević non rappresentano che il 2% di tutti i media nel paese, ma per quanto pochi, evidentemente danno fastidio al potere. Il gesto di Suzana Vasiljević e altri comportamenti simili sono visti dai media che non sono sotto il controllo del governo – così come la maggior parte delle associazioni dei giornalisti serbi – come una minaccia e un tentativo di influenzare la propria politica editoriale.

I motivi che spingono la leadership al potere a comportarsi in questo modo sono emersi chiaramente in occasione delle manifestazioni di protesta svoltesi due settimane fa a Belgrado davanti alla sede della Radiotelevisione della Serbia (RTS) e fuori dal palazzo della presidenza della Repubblica.

I rappresentanti del potere hanno reagito alle manifestazioni lanciando una campagna mediatica finalizzata a presentare i leader dell’opposizione come “violenti” e “fascisti”, accusandoli di aver fatto irruzione nella sede della RTS e di averla danneggiata. I manifestanti hanno fatto irruzione nell’edificio della RTS, è vero, ma non hanno distrutto niente e non vi sono stati scontri con la polizia né feriti gravi.

Dal momento che due emittenti televisive, tv N1 e tv Šabac – e con loro la maggior parte dei portali indipendenti di informazione – hanno trasmesso le proteste in diretta, la campagna denigratoria contro i leader dell’opposizione non ha sortito l’effetto desiderato, ragione per cui gli esponenti del governo si sono ora scagliati contro la tv N1 e altri media indipendenti che informano sulle proteste, accusandoli di incitare alla violenza e di agire contro la Serbia.

Da ciò si evince che l’intenzione del governo sia quella di aumentare ulteriormente la tensione nella società serba, al fine di marginalizzare tutte le voci dissenzienti. Riuscirà a farlo solo controllando il contenuto delle informazioni che arrivano all’opinione pubblica e riducendo radicalmente lo spazio per il dibattito pubblico, la possibilità di porre domande e di discutere di certi argomenti. Ma senza il pieno controllo dei media, sarà molto difficile (e probabilmente impossibile) per il governo raggiungere questo suo obiettivo.

Il caso dell’agenzia Beta

Il governo ha elaborato un complesso sistema per esercitare pressioni sui media, al quale partecipano diversi soggetti. Si va da alcuni portali web oscuri ai media mainstream e ai più alti funzionari statali. In questo sistema ognuno fa la propria parte di “lavoro”. Questo è emerso chiaramente nel caso delle minacce rivolte all’agenzia di stampa Beta.

È ormai da più di un anno che il caporedattore dell’agenzia Beta Dragan Janjić viene continuamente contattato da un uomo che sostiene che l’agenzia segue una cattiva politica editoriale e che per questo motivo potrebbe diventare bersaglio di atti di violenza da parte dei cittadini. “Si tratta di Bogoljub Pješčić che conosco ormai da anni. È stato proprietario dell’internet provider Absolut OK. Per diversi anni questa azienda ha fornito servizi internet all’agenzia Beta. È così che ci siamo conosciuti. Le sue chiamate e i messaggi di solito venivano presentati come ‘avvertimenti benevoli’, ma ciò non rende questi atti meno gravi”, spiega Janjić.

La scorsa settimana Janjić ha ricevuto un messaggio da Pješčić che recitava: “Se sabato dovessero esserci disordini, penso che Beta sarà incendiata”. Il sabato è il giorno in cui a Belgrado, ormai da mesi, si svolgono manifestazioni di protesta anti-governative. Subito dopo aver ricevuto il messaggio Janjić ha convocato una riunione del comitato di redazione di Beta, durante la quale è stato deciso di denunciare l’episodio alla polizia.

La polizia ha svolto il suo lavoro in modo professionale, corretto ed efficace. Ha fermato e ascoltato la persona che ha minacciato Janjić, e ha inoltrato denuncia penale alla procura competente.

Nonostante la polizia non abbia rivelato pubblicamente la sua identità, Bogoljub Pješčić ha pubblicato sui social network il verbale di interrogatorio reso alla polizia, durante il quale ha dichiarato di conoscere Janjić. Anche l’Associazione dei giornalisti della Serbia (UNS) ha pubblicato sul suo sito web questa dichiarazione di Pješčić, alla quale Suzana Vasiljević, consigliera per l’informazione del presidente serbo Aleksandar Vučić, ha reagito commentando: “E poi parlano di minacce”.

Il tentativo di relativizzare le minacce rivolte all’agenzia Beta è proseguito su tv Pink. Nel corso di una trasmissione andata in onda su questa emittente lo scorso sabato, la premier Ana Brnabić ha commentato la vicenda insistendo sul fatto che Janjić e Pješčić si conoscono. Né la premier né Suzana Vasiljević, né tanto meno l’UNS, hanno cercato di spiegare perché una minaccia ricevuta da una persona che si conosce viene automaticamente considerata innocua e penalmente irrilevante.

In parole povere, si tratta di un tentativo organizzato di manipolazione dell’opinione pubblica, allo scopo di far passare in secondo piano il fatto che i media indipendenti sono oggetto di minacce. Pješčić ha detto alla polizia di aver solo cercato di avvertire amichevolmente Janjić, mentre in una dichiarazione rilasciata all’UNS ha affermato di aver mandato a Janjić il controverso messaggio perché non gli piace quello che il caporedattore di Beta pensa dell’irruzione dei manifestanti nella sede della RTS.

Quindi, Pješčić ha cercato di influenzare la politica editoriale di un media esercitando pressioni sul suo caporedattore. Il modo in cui alcuni alti funzionari statali sono intervenuti sulla vicenda suggerisce che è in corso un tentativo sistematico e organizzato di condizionare la politica editoriale dei media.

Minacce contro i media indipendenti

Bogoljub Pješčić ha inviato diversi messaggi anche all’emittente televisiva N1, criticando la sua linea editoriale. Si è presentato come un funzionario dei servizi segreti statunitensi, affermando, tra l’altro, che a Jugoslav Ćosić, direttore del canale N1 Serbia, sarà vietato l’ingresso negli Stati Uniti. Ćosić ha sporto denuncia contro Pješčić, mentre l’ambasciata degli Stati Uniti a Belgrado ha fatto sapere che Pješčić “non lavora per il governo degli Stati Uniti”, ricordando che “fingersi funzionario o dipendente delle istituzioni degli Stati Uniti è un reato grave e una violazione delle leggi statunitensi”.

Nel corso dell’interrogatorio reso nell’ambito dell’indagine scaturita dalla denuncia presentata da Ćosić, Pješčić ha detto di conoscere il direttore dell’emittente N1 ormai da anni. Ćosić ha tuttavia dichiarato di non aver mai incontrato Pješčić e di non conoscerlo personalmente.

Stando a quanto riportato dall’UNS, otto anni fa Pješčić ha veduto l’azienda Absolut OK a un fondo di investimento legato a Dragan Šolak, direttore dell’operatore via cavo SBB e presidente del consiglio di amministrazione della società United Group, proprietaria dell’emittente N1. È indicativo che alcuni media filogovernativi continuino a sostenere che Ćosić e Pješčić siano partner d’affari e amici, facendo così passare in secondo piano la questione delle minacce e pressioni subite dai media.

Una persona che si è presentata come Bogoljub Pješčić ha minacciato anche una giornalista del quotidiano Danas, contattandola telefonicamente dopo che il quotidiano ha pubblicato un comunicato emesso dal ministero dell’Interno, nel quale si precisa che una persona è stata ascoltata in merito alle minacce ricevute dal direttore del canale N1 Serbia Jugoslav Ćosić e dal caporedattore dell’agenzia Beta Dragan Janjić. “Se tra dieci minuti non rimuovete la notizia dal sito vi denuncerò e chiederò un risarcimento danni di un milione di dollari. Sono membro dell’amministrazione di Donald Trump e cittadino statunitense. Non potete farmi niente, e io sarò contento di prendere un milione dai dipendenti di Soros”, ha detto la voce al telefono alla giornalista di Danas.

Lo stesso giorno questa persona ha chiamato anche il caporedattore di Danas Dragoljub Draža Petrović. “Ha detto che abbiamo pubblicato sul sito la notizia che lui è stato sentito [dalla polizia] in merito alle minacce, e che per questo ci denuncerà. Quando gli ho detto che nell’articolo in questione non compare il suo nome, mi ha risposto che tramite i suoi conoscenti nell’amministrazione statunitense cercherà di presentarci nella peggiore luce possibile”, spiega Petrović.

Una controversa pagina Facebook

L’intera vicenda riguardante le minacce rivolte all’agenzia Beta e all’emittente N1 è stata commentata su una pagina Facebook intitolata “Srbija naša zemlja” [Serbia il nostro paese]. I contenuti dei post pubblicati su questa pagina sono molto simili a quelli dei messaggi intimidatori ricevuti da Ćosić e Janjić, e questo induce a pensare che dietro questo profilo Facebook vi sia Bogoljub Pješčić.

Interpellato dall’UNS, Pješčić non ha né confermato né smentito questa ipotesi. “Perché vi interessa questa cosa? Se sono legato a questa pagina Facebook o meno sono affari miei”, ha dichiarato Pješčić. Non ha voluto rispondere nemmeno alla domanda se in qualche modo contribuisca alla creazione dei contenuti pubblicati su questa pagina.

Sulla pagina in questione si afferma, tra l’altro, che dietro all’emittente N1 vi sarebbero Soros e “l’ex amministrazione Clinton”, e spesso vengono pubblicati messaggi intimidatori rivolti a Nedim Sejdinović, ex presidente dell’Associazione indipendente dei giornalisti della Vojvodina (NDNV), bollato come “estremista musulmano e uno che odia i serbi”. Sejdinović ha sporto denuncia contro questo account Facebook, ma il caso ancora non è giunto a un epilogo giudiziario.

La pagina “Serbia il nostro paese” non ha il colophon e i testi che vi compaiono non sono firmati. Nel frattempo il Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) ha pubblicato un’inchiesta sui potenziali legami tra questo account Facebook e il portale Breitbart News, fondato da Andrew Breitbart e Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump.

Stando all’anagrafe dei domini internet serbi, il dominio breitbart.rs  è stato registrato il 27 febbraio 2019. Tuttavia, questo sito non contiene alcun contenuto e non si sa chi abbia registrato il dominio. Dopo che Bogoljub Pješčić è stato ascoltato dalla polizia, sulla pagina “Serbia il nostro paese” è stato pubblicato l’ennesimo post sponsorizzato, in cui si afferma che agli amministratori della pagina viene negato il diritto al lavoro, garantito dalla costituzione, e che sono perseguitati e sottoposti a minacce. “Serbia, aiutaci”, si legge su questa pagina che ha circa 100mila followers.

Fonte: Balcanicaucaso


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