L’euro è “stupido”, ora basta col 3%

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L’euro stupido è una audace stranezza politica-monetaria. È una valuta potente e rispettata in tutto il mondo, ma dietro di sé non ha un governo né un Parlamento con pieni poteri decisionali.

L’euro ha festeggiato il primo gennaio 2019 i 20 anni di vita e i 17 anni di circolazione nelle tasche dei cittadini ma i brindisi sono stati pochi. Lo scontento verso la moneta unica europea è forte soprattutto nei paesi più deboli (come l’Italia) che hanno fortemente sofferto le devastanti conseguenze sociali della globalizzazione e della Grande recessione internazionale del 2008. L’euro è visto con ostilità come una valuta confezionata su misura per la Germania, l’economia dominante dell’Unione europea e di Eurolandia.

Non è un caso se un po’ in tutta Europa sono esplosi i partiti populisti ed euroscettici favorevoli a dire addio all’euro e perfino alla Ue, come è successo nel Regno Unito. In Italia il M5S di Di Maio e la Lega di Salvini solo recentemente hanno messo da parte le idee di un referendum per uscire dalla moneta comune europea.

Romano Prodi, uno dei padri della moneta comune, già nell’ottobre del 2002 lanciò l’allarme per rivedere le regole alla base dell’euro: «So molto bene che il patto di stabilità è stupido, come tutte le decisioni rigide». Tuttavia il patto di stabilità non è cambiato, l’euro stupido è restato. È rimasto anche il principio del rapporto del 3% tra deficit pubblico e Pil (Prodotto interno lordo), il principale cardine sul quale poggia la moneta unica. È una regola sulla quale vigila con severa attenzione soprattutto la Germania, preoccupata dal lassismo della spesa pubblica facile dei paesi più deboli, quelli latini dell’Europa del sud. Ma il 3% è una regola che strangola le economie dei paesi più in difficoltà (per il deficit e il debito pubblico) soprattutto nei momenti di crisi acuta, nei quali servirebbero ingenti investimenti per rilanciare la produzione e combattere la disoccupazione.

Solo Mario Draghi ha evitato il peggio. Il presidente della Bce, di fronte alla grave recessione del 2008, ha preso la decisione (politica e non solo tecnica) di azzerare i tassi di interesse e di procedere a massicci acquisti di titoli del debito pubblico dei vari paesi per superare la crisi e sostenere l’occupazione. Il cosiddetto “quantitative easing” o “piano di allentamento monetario” ha impedito il fallimento di paesi come l’Italia e ha salvato l’euro. Draghi, però, è stato contestato pesantemente in Germania da ampi settori della stampa e della finanza perché creava forti masse di moneta aggiuntiva premiando il lassismo dei paesi più indebitati.

Solo Mario Draghi ha evitato il peggio. Il presidente della Bce, di fronte alla grave recessione del 2008, ha preso la decisione (politica e non solo tecnica) di azzerare i tassi di interesse e di procedere a massicci acquisti di titoli del debito pubblico dei vari paesi per superare la crisi e sostenere l’occupazione. Il cosiddetto “quantitative easing” o “piano di allentamento monetario” ha impedito il fallimento di paesi come l’Italia e ha salvato l’euro. Draghi, però, è stato contestato pesantemente in Germania da ampi settori della stampa e della finanza perché creava forti masse di moneta aggiuntiva premiando il lassismo dei paesi più indebitati.


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