Fra demagogia e populismo, il dissidente è un “solitario”. “Un nemico del popolo” di Ibsen di scena all’Argentina di Roma

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….l’idea (sarebbe) che, al fondo, la politica non sia altro che contesa fra notabili, un pò com’era nell’800….senza doversi fare accompagnare da tutte quelle forma di partecipazione che inevitabilmente ne rallentano il cammino verso il “traguardo”.…(Marco Follini    “Altro che cambiamento“)

Domande a bruciapelo e purtroppo mai oziose. Chi può essere qualificato “nemico del popolo”? Qualcuno che va in direzione ‘ostinata e contraria’ ai presunti ‘interessi’ della comunità di cui fa o non vuol più fare parte. Chi stabilisce in cosa consistono gli interessi del popolo? Le consultazioni (elettorali o assembleari) della maggioranza, se essa è espressione di equilibrio democratico ovvero di un difficile ‘sistema’ di pesi e contrappesi nell’esercizio di ogni genere di potere (metodo “pessimo, ma senza nulla di meglio fin’ora escogitato”  chiosava Churchill).

Cosa avviene quindi se il ‘sistema’ decade in arbitrio, dispotismo, dittatura della maggioranza medesima, alla cui cima troveremo, in ogni epoca storica, l’uomo forte e carismatico coltivante il suo nume di cesarismo autocrate, spesso con l’additivo (subliminale) dell’informazione di regime? Nulla di non prevedibile: il primato dei populismi e delle animosità fascistoidi (peroniste, naziste, sovraniste) che ne ‘irrobustiscono’ la ragion d’essere, sino alla catastrofe (e genocidi) delle Grandi Guerre, giusto per stabilire quale di quei populismi è più populista (e immacolato) degli altri. Specie per consacrazione economico-ideologica, a tutto vantaggio di oligarchie imbonitrici e ristrette élites gestionali.

Apologo impeccabile ed esemplificativo di tanti interrogativi, probabilmente e liberamente ispirato a una vicenda civica del tardo ottocento norvegese, “Nemico del popolo” di Ibsen (1882) ha una struttura  di  nitida limpidezza che, a tratti, sembra (a noi) anticipare tanto della dialettica brechtiana, compresi alcuni ‘passaggi’ di straniamento e autocoscienza conflittuale.

Il dottor Stockman, medico responsabile di una stazione termale, progressista e pubblicista di un “agguerrito” (?) giornale locale,  scopre che le acque (i fanghi) della salute sono contaminate da sempre, e da sempre coperte da omertoso silenzio del maggiorenti, interessati agli utili ed ai profitti del “benessere dei villeggianti”. Stockman intende, per lo meno, denunciare i fatti e  avvisare la popolazione che “per rimediare al danno saranno necessari costosi interventi di manutenzione” oltre alla chiusura temporanea del redditizio stabilimento. Il sindaco della cittadina, pragmatico demagogo in ascesa politica (purtroppo  fratello del medico), vuole invece mettere a tacere “simili voci di discredito” che   metterebbero a repentaglio reputazione, candidatura e “benessere” dei cittadini a lui devoti.

Persuasosi della propria (indubbia) rettitudine e  certissimo  che, alla fin dei conti,  il “popolo” indigeno  gli sarà grato, Stockman (incoraggiato dalla figlia ma sconsigliato dalla moglie) procede per la “sua strada” come gemello ideale della Nora Helmer di “Casa di bambola” – peraltro convintosi che una certa quota di solitudine è quasi appannaggio di chi mira non tanto alla rettitudine deontologica, quanto alla “nuda e cruda” affermazione di se stesso, nel mantenimento della buonafede e dell’autostima… Mentre le  conseguenze del suo operare (coerente con se stesso) non potranno non essere quelle di un “pervicace perdente”, consapevole che se il mondo deve andare “da questa storta parte”  tanto vale che “vada pure in malora”.

Feconda tragedia del  solipsismo etico e combattente, “Nemico del popolo” rinasce sui praticabili del Teatro Argentina con tante qualità ed alcuni, non veniali, difetti.   Fervido, profetico, analiticamente attualissimo nel  suo esplicito esercizio di passione politica e civile, intelligente nel suo andare alla “ricerca storica” dell’epoca in cui tutto “ebbe inizio” (rivoluzione industriale, diffusione dei consumi prima degli agiati,  poi di massa), l’allestimento (comunque snello e godibile) mostra  di dimezzarsi, e farsi di un po’ di ‘maniera’, nella sua spericolata certezza che attualizzarne la tematica, comunque scottante, significhi trarre uno spettacolo  chiassoso, esclamativo, sopra le righe: e purtroppo schematico per quel che attiene le sfumature psicologiche (ben presenti nel ‘naturalismo’ d’epoca di Ibsen), Risolvendosi e dando luogo ad uno spettacolo a tesi, ben espletato da validissimi attori e  Maria Paiato (nei maschili abiti del sindaco spregiudicato) superbamente “perniciosa”, empatica, ammiccante, decisionista, una spanna, ed anche più, al di sopra di ogni altro.

Dubbio supplementare, ma storicamente ineccepibile: cosa ci sta a fare la pur “spettacolare”, sghemba, pluriespressionista ambientazione del dramma negli anni ruggenti (bianco e nero di costumi e moduli scenografici) della Vecchia America in Alabama -nella strenua, attanagliante traduzione di Luigi Squarzina, degna per lo meno del teatro di Miller e di Mamet- se è assodato che l’avvento del capitalismo “regnante”, spericolato e “mannar-predatorio” coincide con la rivoluzione industriale d’Inghilterra e le prime sommosse di ispirazione luddista?  Non trovo risposta…

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“Un nemico del popolo”

di Henrik Ibsen   Traduzione Luigi Squarzina

Regia di Massimo Popolizio

con Massimo Popolizio, Maria Paiato, Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti, Martin Chishimba, Maria Laila Fernandez, Paolo Musio, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini, Dario Battaglia, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Duilio Paciello, Gabriele Zecchiaroli

Scene di Marco Rossi
 Costumi di Gianluca Sbicca  Luci di Luigi Biondi
 Suono a cura di Maurizio Capitini

Video di Lorenzo Bruno e Igor Renzetti
 Assistente alla regia: Giacomo Bisordi  Foto di scena di Giuseppe Distefano

Prima Nazionale    Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Teatro Argentina, sino a fine aprile. In ripresa dalla prossima stagione


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