Palermo, le donne di Benin City

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di Nino Rocca

nigerianeA Palermo tre anni or sono è nata la prima associazione di donne ex vittime di tratta, l’associazione “Le donne di Benin City”.
Essa è costituita da donne nigeriane ex vittime di tratta, adesso sposate con figli, e donne italiane che sono di supporto alla stessa, assieme ad una rete di sostegno.
Nel primo anno esse si sono imposte all’opinione pubblica, attraverso la stampa e la partecipazione ad incontri e dibattiti dichiarandosi donne ex vittime di tratta che si erano costituite in associazione per strappare dalla strada le ragazze.
La stampa e i mass media, locali, nazionali e internazionali hanno accolto con favore il messaggio da loro inviato all’opinione pubblica, e alle Istituzioni che hanno, con rispetto e considerazione della sofferenza delle ex vittime, dato il giusto risalto al loro messaggio.
Questo primo passo non è stato facile, esso ha dovuto attraversare e riaprire le ferite mai cicatrizzate della vittima che è stata umiliata nella sua dignità di donna, ma è stato proprio questo gesto di coraggio che ha dato loro credibilità, rispetto e fiducia.
Questa soggettività e visibilità conquistata sul campo con molto coraggio ha permesso loro di entrare in contatto, più facilmente, attraverso uno sportello di ascolto e attraverso contatti più o meno diretti, con molte ragazze che hanno trovato in loro un valido interlocutore.
Negli ultimi due anni più di 27 tra ragazze minorenni e giovani donne nigeriane per lo più provenienti da Benin City che erano scappate dalle maman sono state, con il loro l’aiuto, accompagnate alla questura e poi affidate a strutture di protezioni.
Il modello da loro intuito ha funzionato!!
Le ragazze che vengono in contatto con loro ritrovano, non solo la propria lingua originaria, il Benin, con cui possono esprimersi, ma anche e soprattutto la cultura, i valori dell’ambiente da cui provengono.
Le donne di Benin City, sono, pertanto, per loro le “mamme” alle quali si deve rispetto e delle quali ci si può fidare, perché anch’esse sono state vittime di tratta.
Alla “mamma” non si raccontano menzogne con loro si possono confidare, con loro possono fare un percorso che le condurrà fuori dal tunnel….
Attraverso queste donne nigeriane e i loro uomini,  gli uomini “sani” della comunità nigeriana, è stato possibile entrare nel cuore della loro cultura e liberare  le ragazze che sono tenute prigioniere nelle connection house e nelle case delle maman.
Soprattutto dopo il proclama di Oba, il re di Benin City che ha liberato dal vincolo del giuramento nella cerimonia del voodoo, le ragazze vittime di tratta, esse si sentono liberate, anche se sono ancora schiavizzate nelle connection house e disorientate in una città che non conoscono.
Più di trenta connection house si trovano a Ballarò, in corso Tukory, in via Maqueda, in via Roma e in via Oreto. Dentro queste strutture vivono prigioniere le ragazze, spesso minorenni, ma per liberarle occorre mettere in piedi una strategia con le forze dell’ordine, con le quali già collaboriamo, e con le Istituzioni, in modo particolare le attività sociali, molto lente ad intervenire.
Si tratta in altre parole non solo di individuare queste strutture ma di offrire alle ragazze che sono liberate la possibilità  di un percorso alternativo.
Le ragazze poco più che maggiorenni hanno bisogno, una volta uscite dalle connection house, di un contatto con donne della loro stesse cultura che possano aiutarle a riprendere in mano la loro stessa vita, a credere in se stesse e nelle “mamme” (così le chiamano le ragazze che si sono incontrate con loro) a cui affidano la loro stessa vita e il loro futuro.
Ma per far questo occorre che vi siano delle strutture apposite in cui esse possano liberarsi delle loro catene esteriori e soprattutto interiori e psicologiche.
Avviare un progetto di questo genere non è facile e non è privo di rischi per coloro che si trovano in prima linea.
Mi riferisco alle donne di Benin City, con la sua presidentessa Osas, agli uomini sani della comunità nigeriana con il loro nuovo presidente Samson,  e alla rete di sostegno di donne e uomini italiani.
Abbiamo coscienza di trovarci di fronte ad una organizzazione criminale la Black Axe, condannata a Palermo per mafia recentemente,  che gode dell’appoggio della mafia locale, come ci dicono i recenti rapporti della Dia.
Il percorso che l’associazione ha compiuto si iscrive nel solco di un percorso di antimafia, in un percorso di liberazione non soltanto dai vincoli psicologici e culturali del voodoo ma anche da una organizzazione criminale, forte e violenta che incute paura e terrore!
E’ sotto questo aspetto che la nuova antimafia prende inizio per cominciare un percorso che non può prescindere dall’iniziativa e l’aiuto delle stesse vittime e degli stessi nigeriani.
Le vittime di tratta sono anche vittime di mafia, sono, infatti, vittime di organizzazioni che sono state condannate per mafia e che hanno gestito sia il traffico di stupefacenti che la prostituzione.
Ma è chiaro che questo percorso antimafia non può essere avviato soltanto dalle vittime e dalla comunità sana nigeriana senza il sostegno di associazioni italiane che supportano e si affiancano alle stesse vittime e agli stessi uomini e donne nigeriani che lottano contro l’organizzazione criminale.
Nasce così una antimafia contro le mafie straniere che già sta avendo un ruolo di contrasto alla stessa mafia in stretta collaborazione con le forze dell’ordine!
Il rapporto è ancora poco strutturato un po’ affidato alla contingenza delle emergenze che si presentano volta per volta  non sfruttando  tutte le sue potenzialità.
Intendo dire che, trattandosi di una mafia straniera, la collaborazione di una antimafia della stessa cultura diventa necessaria per avere tutti gli elementi da parte degli investigatori, ma più ancora la possibilità di costruire una antimafia sociale, cioè la possibilità di creare un reale inserimento sociale alle ragazze vittime di tratta che possa diventare una attrattiva forte per contrastare la stessa mafia.
E’ la stessa cosa che si è creata nella nostra società attraverso l’antimafia sociale per tanti potenziali uomini e donne strappati all’influenza mafiosa.
Occorre allora togliere terreno alla mafia nigeriana attraverso dei validi percorsi di integrazione per le ragazze che sono state vittime e per quelle che si muovono nella sfera di influenza della loro cultura.
P.S. Queste considerazioni nascono dalla esperienza vissuta in un percorso ancora in fieri ma che ci sta svelando grandi prospettive per la lotta e il contrasto alle mafie straniere.
Il punto di forza per meglio strutturare questa esperienza è l’antimafia sociale.
Ma per realizzare questa occorre che vi sia una reale collaborazione non solo di una parte della società civile italiana, ma anche delle Istituzioni, così come è stato sperimentato per la lotta alla mafia nostrana negli ultimi decenni.

Da mafie


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