Le confessioni di un europeo

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Le confessioni d’un italiano è il famoso romanzo storico di Ippolito Nievo che narra la vita di Carlo Altoviti, un patriota che, attraverso le vicende del Risorgimento, ha vissuto la trasformazione della propria identità da veneziano a italiano.

Le confessioni di un europeo potrebbero essere definite le dichiarazioni autocritiche fatte il 15 gennaio dal Presidente della Commissione Europea, Claude Junker, in occasione della celebrazione dei vent’anni dell’euro al Parlamento europeo. “Le lacrime di coccodrillo non mi commuovono”, ha replicato Di Maio sul Blog delle Stelle, dando ancora una volta prova del provincialismo gretto che acceca la politica italiana. Invece le dichiarazioni fatte dal Presidente dell’organo di governo dell’Unione Europea, giunto al termine di un mandato tormentato che ha attraversato la tempesta politica della recessione economica dell’eurozona, della crisi del debito, della secessione del Regno Unito, sono estremamente significative perché fanno emergere il fallimento di una politica che sta provocando sinistri scricchiolii sulla sopravvivenza stessa dell’Unione Europea.

Juncker ha riconosciuto che durante la crisi del debito “c’è stata dell’austerità avventata” e si è rammaricato che la Commissione abbia “dato troppa importanza all’influenza del Fondo monetario internazionale”, osservando che “al momento dell’inizio della crisi molti di noi pensavano che l’Europa avrebbe potuto resistere all’influenza del Fmi”. Ha riconosciuto che il ricorso al Fmi è stato un errore: “Se la California è in difficoltà, gli Stati Uniti non si rivolgono” al Fondo monetario internazionale”, osservando che “noi avremmo dovuto fare altrettanto”. Quindi ha detto testualmente: “Non siamo stati sufficientemente solidali con la Grecia e con i greci (..) c’è stata una mancanza di solidarietà – ha confessato – abbiamo coperto di contumelie la Grecia.”

Le confessioni del capo del “Governo” dell’Unione Europea sono importanti perché fanno emergere la causa prima che determinano le avversità in cui si dibattono le istituzioni ed i popoli europei: la mancanza di solidarietà, di cui la Grecia è stata la vittima sacrificale. A fronte di un debito pubblico insostenibile, che non poteva più rifinanziarsi con l’accesso ai mercati finanziari, nessuno Stato europeo ha voluto muovere un dito per alleggerire il popolo greco del peso del debito, di cui la Grecia non si poteva liberare con la svalutazione, a causa dell’euro. I prestiti concessi alla Grecia delle istituzioni monetarie sono serviti soprattutto a consentire alle banche francesi e tedesche di sbarazzarsi dei titoli Greci. La “Troika” (il comitato composto da Fondo Monetario, Commissione UE e BCE) ha imposto un programma di austerità durissimo, provocando il crollo dei salari (40%), drastici tagli alle pensioni (tredici riduzioni, una dopo l’altra, con un taglio dal 40 al 60%), a fronte di un’imposizione fiscale sempre più alta; la sanità è stata ridotta in condizioni pietose; il 22% della popolazione è precipitata in una situazione di grave povertà; con le privatizzazioni la Grecia è stata spogliata di buona parte del suo patrimonio pubblico: il porto del Pireo è finito in mani cinesi, la Germania ha acquisito 20 aeroporti regionali; negli ultimi anni oltre 500 mila greci (su un totale di circa 11 milioni) sono emigrati, soprattutto giovani e laureati. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, pomposamente inserita nel diritto dell’Unione con il Trattato di Lisbona, per la Grecia è stata brutalmente strappata e trasformata in carta straccia.

Di fronte a tanta devastazione sociale tutti abbiamo taciuto, tutti gli Stati dell’Unione l’hanno accettata per scongiurare il pericolo di essere costretti a qualche forma di solidarietà nei confronti della Grecia. La stessa situazione di ottusa desolidarietà si è verificata sul fronte dei migranti. A cominciare dal Regolamento di Dublino, che ha scaricato sugli Stati di confine il peso dell’immigrazione extra UE, fino all’indecorosa pantomina sui cinquanta migranti salvati dalle navi ONG a capodanno, che nessuno Stato, in un aggregato con oltre 500 milioni di abitanti, voleva accogliere, pretendendo di lasciarli su uno scoglio come l’isola di Malta.

In questo contesto, la confessioni di Junker sono importanti anche per un altro motivo, perché aprono uno squarcio nel pensiero unico che ha guidato le scelte delle èlites politiche e ci fanno capire che un’altra politica è possibile e che la convivenza virtuosa dei popoli che compongono l’Unione può essere rilanciata e l’Europa può essere salvata se si mettono al primo posto la solidarietà ed i diritti sociali al posto dell’egoismo nazionale e dell’arroccamento nella difesa del proprio particulare.


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