Una lunga estate di inferno calabrese

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di Lucio Luca

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Lucio Luca, giornalista di Repubblica e autore del libro “L’altro giorno ho fatto quarant’anni” (Laurana editore)

Il giorno che Paolo andò via, pensai che per il giornale sarebbe stata la fine. Da giorni gli scontri con l’editore erano diventati violenti. Ci eravamo esposti troppo contro il candidato governatore di centrodestra, avevamo raccontato che era stato ospite d’onore a feste e matrimoni di boss e personaggi chiacchierati. Insomma, lo avevamo sputtanato per bene. Ma quello nei sondaggi volava come un treno e ora che era chiaro che avrebbe stravinto le elezioni, Pierino voleva costringere il direttore a fare dietrofront. Perché avere una linea libera e indipendente è bello, ma poter contare su un presidente che ti apre le porte della Regione e ti garantisce contributi a pioggia lo è molto di più.
Paolo, che avrà pure tanti difetti ma non è certo uno che si fa imporre le cose da scrivere, aveva più volte mandato a fanculo l’editore e quindi la rottura era diventata inevitabile. Quello che nessuno di noi si sarebbe aspettato è che con Paolo sarebbero andati via otto colleghi, praticamente tutti i capi. Li aveva chiamati uno per uno e gli aveva proposto di seguirlo in un nuovo giornale che avrebbe fondato. Ovviamente io e pochi altri che non facevamo parte del suo cerchio magico, eravamo stati simpaticamente tenuti in disparte. Tanto lui era certo che senza la spina dorsale del giornale “Calabria Ora” avrebbe chiuso dopo due settimane.
“Me ne vado per motivi indipendenti dalla mia volontà — scrisse nel suo editoriale di addio — Ieri mi è arrivata una richiesta dagli editori: intendono avere una presenza più forte nella fattura del giornale. Una richiesta certamente rispettabile, ma che non esiste in natura. L’editore fa l’editore, sceglie un direttore che risponde della linea politica e dei contenuti del giornale. Il rapporto tra le due figure è fiduciario, quando la fiducia viene meno, l’editore sceglie un altro direttore. Tutto qui, così si fa in Italia. In altre realtà è il padrone a dettare i contenuti. Ma qui non siamo in Corea del Nord”.
“Sapevo che raccontando i rapporti tra mafia e politica facendo le pulci a una magistratura spesso troppo morbida, avrei pagato un prezzo altissimo — aveva aggiunto — Sapevo che nessun politico importante sarebbe rimasto indifferente davanti ai retroscena più inquietanti di quella zona grigia che è il vero capitale sociale della ‘ndrangheta. Che quando si parla di equivoche frequentazioni e banchetti nei quali pezzi delle istituzioni brindavano con mafiosi, qualcuno ci sarebbe rimasto molto male”.
“Se fosse una partita, da sportivo non avrei difficoltà a dire che il potere ha vinto, almeno per il momento. Uno a zero e palla al centro. Non raccontiamoci frottole — aveva concluso — hanno vinto loro, ma è solo il primo tempo della partita. Nel secondo, magari, ribaltiamo il risultato”.
Ecco, con quel commiato ai lettori, Paolo ci avvertiva che quando sarebbe uscito il suo nuovo giornale ci avrebbe fatto a pezzi.
Con Marco, Rosa Maria e pochi altri avevamo deciso di resistere: nessuno di noi si era mai trovato di fronte a una situazione del genere, ma non c’era altro da fare: richiamare tutti, passare un’estate d’inferno e sperare che Pierino nel frattempo trovasse un nuovo direttore all’altezza.
Ricordo che poche ore dopo quello tsunami, Pierino mi aveva mandato persino un sms: “Alessandro, vediamoci a casa mia, dobbiamo capire come andare avanti. Intanto mi piacerebbe che firmassi tu il giornale”. Cioè, mi aveva offerto la direzione. Giusto a me con il quale litigava dalla mattina alla sera. Ovviamente avevo rifiutato, e avevano rifiutato tutti quelli a cui lo aveva chiesto. Quella volta il giornale lo firmò il suo socio, un pubblicista, e fu una estate d’inferno: venti ore al giorno davanti al computer, edizioni locali fatte senza corrispondenti, famiglie abbandonate e ferie ovviamente congelate. Ma “Calabria Ora” c’era ancora e con l’autunno — ci aveva detto l’editore — sarebbe partita un’operazione di rilancio. Per due o tre mesi avevo fatto di tutto: dal direttore al correttore di bozze, mi ero spaccato il culo come non mai. Ce l’avevo fatta a salvare il mio giornale. Qualcuno, mi illudevo, un giorno se ne sarebbe ricordato.
(7. continua)

Da mafie


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