L’incompetenza al potere e la rivolta degli esperti

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Tom Nichols, professore di National Security Affairs all’US Naval War College di Newport e politologo alla Harvard Extension School, non intendeva scrivere “La conoscenza e i suoi nemici”. Ma racconta in un’intervista a Roberto Saviano, che gli è scattata la molla quando un ragazzo ha voluto spiegargli la situazione in Russia, a lui che l’aveva analizzata per 30 anni…!
Nel momento storico con il tasso di alfabetizzazione più elevato, paradossalmente il cittadino comune, e quindi l’elettore comune, ha perso fiducia negli esperti e usa come fonti internet e i social media. Perché?
Perché, secondo Nichols, viviamo nell’era del narcisismo, dove conta più pensare di essere l’unico genio che possiede la verità, che formarsi un’opinione informata. Anche perché questo richiederebbe studio, e lo studio, tempo. Ma chi oggi ha tempo e voglia di studiare, quando possiamo reperire informazioni facili e veloci su facebook e twitter? Quando è tanto più comodo bersi la teoria del complotto?
L’era del narcisismo sarebbe cominciata circa 40 anni fa, con l’ascesa della psicoterapia che spingeva a guardare ai propri sentimenti. Questo, secondo l’autore, è degenerato nell’attenzione esclusiva per i propri sentimenti a scapito dei fatti.

Quando Nichols parla di sentimenti o sensazioni, mi sembra che si riferisca piuttosto alla percezione che ognuno di noi ha della realtà. Di fronte alle vicende recenti della nave Diciotti o del ponte di Genova, ognuno ha detto la sua, non necessariamente per aver approfondito la questione, ma semplicemente per reazione alla propria percezione, alla propria interpretazione dei fatti, che, in molti casi, è lontanissima dalla realtà dei fatti. Partire dalla percezione rientra nel narcisismo, perché la percezione è personale e ci rimette al centro, mentre i  fatti sono obiettivi e inconfutabili, e questo ci disarma, ci spaventa.
Luciano Morganti, docente di comunicazione all’Université libre de Bruxelles, intervenendo alla conferenza “Overcoming the Challenges of Communicating Europe” (4/9/2018), si chiedeva se siamo in presenza di un deficit d’informazione o di un deficit di democrazia. Leggendo Nichols potremmo rispondere: né l’uno né l’altro. Al contrario, siamo di fronte a un eccesso d’informazione e a un eccesso di democrazia. Un eccesso d’informazione, perché siamo bombardati da una raffica di input che ci giungono da una moltitudine di fonti senza precedenti. Un eccesso di democrazia perché non solo tutte queste fonti sono alla portata di chiunque, ma ciascuno diventa fonte di sapere.

Altro è stabilire se le informazioni e le fonti siano attendibili, ma questo è marginale. Il tema non è più se una notizia è vera o falsa, ma se una notizia “funziona” o no. E anche notizie banali vengono spacciate per edizioni straordinarie pur di fare sensazione.
Spesso un utente dei social network preferisce condividere una notizia che sa non essere corretta ma che potrà attirare molti “like”, piuttosto che una notizia corretta ma  scomoda. Più “like” collezioniamo, più rafforziamo il nostro convincimento di essere depositari della verità, più il nostro ego gongola. E se becchiamo un commento negativo, quella è la conferma che solo noi abbiamo davvero capito come stanno le cose.
Il proliferare delle “fake news” lascia spazio al populismo, perché il populista si rifiuta di ascoltare l’esperto, che sentenzia dalla sua torre d’avorio. E può permettersi di farlo perché si trova in una situazione di opulenza di mezzi tecnologici, in mancanza dei quali il cittadino comune avrebbe ancora bisogno del medico, dell’ingegnere, dell’avvocato, del professore…
Dal conflitto sinistra-destra, siamo passati alla contrapposizione tra élite intellettuale ed establishment, tra casta culturale e popolo di orgogliosi incompetenti. Questo è legato alla svalutazione della competenza, perché il futuro, nell’era dell’informazione, è appannaggio di chi sa manipolarla. La manipolazione dell’informazione rappresenta una minaccia per la democrazia, come sa il Parlamento europeo che, nel giugno 2017, ha adottato una risoluzione per considerare misure legislative contro la disseminazione delle “fake news”.

Chi non ha delle competenze adatte all’evoluzione del mercato, resta indietro. In questo contrasto si crea una divisione che viene colmata anche dal populismo. Dove si rivendica l’ “uno vale uno” non solo nel segreto dell’urna ma anche nelle opinioni. Tuttavia, l’opinione di un esperto su un fatto che rientra nella sua area di competenza non può essere equiparata all’opinione di un internauta che improvvisa, sovrastimando le proprie conoscenze.
Nichols è fiducioso che sia cominciata una “rivolta degli esperti”, che non consiste nel deridere gli incompetenti, ma nel recuperare l’onestà intellettuale e nel rimettere l’accento sulla meritocrazia, menomata dalla politica-spettacolo e da un sistema educativo sempre più commerciale. L’autore fa riferimento al suo paese, gli Stati Uniti, ma lo stesso vale per l’ Italia. Qui succede che il protagonista di un reality show diventi il portavoce del presidente del Consiglio. È assolutamente naturale che una velina venga eletta al parlamento nazionale o europeo. È giustificato che una ex “Iena” sia assunta come consulente al ministero dell’istruzione. Ed è cronaca che se un ragazzino porta a casa una pagella insufficiente, i genitori, anziché strappargli di mano la play station, vadano a scuola ad aggredire l’ insegnante.
All’onestà intellettuale come la intende l’autore, cioè mantenersi costantemente curiosi e aggiornati, aggiungerei anche l’onestà di riconoscere i propri limiti e  circondarsi di persone che ne sanno più di noi, soprattutto se si riveste un ruolo di indirizzo politico.
Dobbiamo solo sperare che vi sia ancora tempo per la rivolta. Perché, se così non fosse, secondo Nichols bisognerebbe aspettare un evento che scardini l’opulenza, che sia una calamità naturale, una pandemia, una guerra o una grande depressione.


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