Turchia, neanche la crisi economica frena l’azione repressiva verso la stampa libera. Arrestato giornalista nel giorno in cui torna libero presidente Amnesty

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Mentre si aprivano i cancelli del penitenziario di Silivri e Taner Kilic, presidente onorario di Amnesty International Turchia, tornava libero dopo oltre 14 mesi di carcere, a Istanbul si chiudevano i battenti della cella in cui è stato rinchiuso il giornalista Uğur Akgül. Pur essendo il presidente Recep Tayyip Erdogan impegnato nella gestione della svalutazione della lira e della grave crisi economica che ata vivendo il Paese, non perde di vista la sua opera di repressione della libertà di stampa, quella critica nei suoi confronti.
Uğur non ha ancora compiuto 30 anni e ha una grande passione per il suo lavoro di fotoreporter che fino a qualche mese fa svolgeva egregiamente per l’agenzia di stampa DİHA. Fino a quando la testata non è stata chiusa.
Da mercoledì scorso Uğur non è solo disoccupato ma detenuto in una prigione dove dovrà scontare due anni e otto mesi.
La Procura del distretto di Mersin, tra i maggiori centri dell’Anatolia meridionale, ha spiccato un ordine di arresto dopo la conferma in secondo grado della sentenza del processo che lo vedeva sul banco degli imputati con l’accusa di supporto a un’organizzaziine terroristica.
La ‘colpa’ di questo giovane e coraggioso giornalista? Aver deciso di raccontare la distruzione causata dalle operazioni delle forze di sicurezza turche contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nel distretto di Nusaybin della provincia di Mardin nel 2015.
Stessa sorte, nel marzo 2017, è toccata anche a Zehra Doğan, giornalista di DIHA ma anche pittrice turca di straordinario talento: è stata condannata a 2 anni, nove mesi e 22 giorni di carcere per aver dipinto la distruzione a Nusaybin.
Akgül, con le sue foto e i suoi articoli, aveva invece documentato l’azione dell’esercito di Ankara che poche ore dooo la fine del cessate il fuoco di due anni con il PKK ha cercato di ‘liberare’ le città del sud-est dalla presenza dei militanti curdi.
Secondo un rapporto di Amnesty International lo scorso dicembre, circa mezzo milione di persone sono state costrette a lasciare le proprie case a causa di una brutale repressione da parte delle autorità turche nell’ultimo anno, che l’organizzazione per i diritti umani ha definito “una punizione collettiva”.
Uğur Akgül lo ha documentato, come Zehra Doğan e altri colleghi che non si sono piegati al regime turco e hanno continuato a fare il proprio mestiere con coerenza e a testa alta.
La Turchia è al 157° posto tra 180 paesi nell’indice mondiale sulla libertà di stampa del 2018 pubblicato da Reporters Without Borders (RSF). È lo stato ‘carceriere’ di giornalisti più grande del mondo.
Le cifre più recenti, documentate da varie organizzazioni che si occupano di libertà di stampa, rilevano che al 6 agosto 2018 sono 237 gli operatori dei media incarcerati, la maggior parte in detenzione preventiva. Di questi 170 sono in attesa di giudizio mentre 67 sono stati condannati da tempo e stanno scontando la loro pena. Per 144 giornalisti i mandati di detenzione sono stati emessi sotto il regime dello Stato di emergenza.
In Turchia, oltre a esponenti della stampa e difensori dei diritti umani come Kikic, sono decine di migliaia le persone arrestate e detenute per presunti legami con la rete si Ferhullah Gülen, imam in autoesilio negli Stati Uniti ritenuto ideatore del tentativo di golpe del luglio 2016.
Il governo ha anche chiuso circa 200 media, comprese agenzie di stampa e giornali, la maggior parte curdi.
Nonostante lo stato di emergenza sia stato sospeso gli arresti in Turchia continuano a susseguirsi e la situazione resta di grande tensione, anche a causa dei problemi politici-economici che stanno interessando il Paese.


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