Porticello e i “pesci grossi” di Cosa Nostra

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di Dario Montana

Aveva deciso di vivere vicino al mare, la sua grande passione. Con il suo piccolo motoscafo, uno “Speedy el Sud” con un motore Mariner da 60 cavalli, tra un tuffo e un po’ di sci nautico, durante le poche ore di riposo (pagando di tasca propria il carburante) perlustrava senza sosta il litorale tra Aspra e Mongerbino nel golfo di Palermo; appostamenti e avvistamenti che altrimenti non si sarebbero mai tenuti per l’inesistenza di risorse e mezzi da destinare a questi servizi.
La sua pesca era miracolosa, non solo per i pesci del mare, ma soprattutto per i pesci grossi della mafia che proprio in quelle zone svolgevano i loro traffici e vivevano la loro latitanza.
Condivideva la passione del mare con il giudice Paolo Borsellino, e infatti non era raro assistere ai loro scambi di informazioni sulle prestazioni delle loro piccole imbarcazioni.
La scelta di vivere tra Aspra e Porticello fu fortemente contrastata da Ninni Cassarà che cercava di dissuaderlo dall’affittare casa proprio in una zona dove aveva arrestato diversi latitanti. Questo era l’unico argomento capace di farli litigare.
Ma quella scelta era dettata anche dal grande amore che aveva per la sua splendida compagna, Assia, che viveva a Catania, dove aveva una scuola di danza molto nota in città, e che quando lo andava a trovare lo attendeva spesso a mare in compagnia di un buon libro.
Quel 28 luglio era il primo giorno di ferie per Beppe, tre giorni prima aveva realizzato il blitz di Buonfornello, arrestando tra gli altri Tommaso Cannella e Pietro Messicati Vitale. L’indomani avrebbe dovuto essere ricevuto da Bruno Contrada che voleva complimentarsi dell’importante risultato investigativo.
Era il suo primo giorno di ferie, passato a mare con Assia, con gli amici giornalisti e con l’altro mio fratello con la sua fidanzata. Io ero rimasto a Catania perché quella notte dovevo partire con un caro amico con il quale avevamo programmato il nostro viaggio in auto verso la Spagna per festeggiare l’esame di maturità.
Una giornata spensierata, passata suonando la chitarra e scattando qualche foto che rimane a segnare il filo sottile tra la vita e la morte. Quel pomeriggio solo la presenza di un grosso motoscafo aveva fatto incupire lo sguardo di Beppe.
Nel tardo pomeriggio decide di rientrare al rimessaggio, anche per far riparare il motore dello scafo che dava qualche piccolo problema.
Al suo arrivo in costume e maglietta, per la prima volta privo della sua inseparabile 38, assolutamente disarmato e con in mano il motore da riparare del motoscafo, viene affrontato dal gruppo di fuoco. Il commando era formato dai killers più spietati di cosa nostra: Pino Greco (detto Scarpuzzedda), Mario Prestifilippo, Giuseppe Lucchese (detto Lucchiseddu) e Agostino Mannoia.
A difesa di di Beppe intervenne solo il pastore tedesco a guardia del rimessaggio, che gli era molto affezionato, al quale Beppe quando era nel porticciolo non faceva mai mancare le sue carezze.
Fu proprio il sangue trovato sulle scarpe di uno dei componenti del commando, definito “non umano” da una perizia, a fornire il riscontro processuale della presenza sul posto come basista.

(7 – continua)

Da mafie


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