Mattarella fa appello al senso di responsabilità per l’Italia

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I partiti d’accordo, ma Berlusconi guarda al Pd, Salvini alle elezioni. Guerra civile nel Pd. E LeU si spacca sui 5Stelle

Di Pino salerno 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla alla cerimonia della Giornata internazionale della donna al Quirinale e lancia un appello al Paese che in questi giorni suona come un richiamo alle forze politiche all’indomani di un voto che ha portato un risultato a dir poco complicato. Il Capo dello Stato si riferisce nel suo discorso all’impegno delle parlamentari che riformarono il diritto di famiglia, di più non dice perché da tempo ha fatto sapere di non voler intervenire in alcun modo nella complicata situazione post-elettorale. Ma, nonostante la corretta interpretazione di Mattarella del galateo istituzionale, a tutti è chiaro che il suo è un richiamo ai partiti, ancora esacerbati dalla lunga e accesa campagna elettorale, perché smettano i panni della propaganda e avviino una fase di riflessione che abbia come obiettivo la formazione di un governo per il Paese. “Abbiamo ancora, e questo riguarda tutti, avremo sempre bisogno di questa attitudine; del senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini”, questa la frase, sibillina, certo, ma corretta sul piano istituzionale. Il Capo dello Stato appare paziente, e dalla sua ha l’esempio prima della Spagna e poi della Germania, che hanno impiegato mesi prima di trovare una maggioranza possibile, nessuno a livello internazionale potrebbe ora mettere troppa fretta, soprattutto dinanzi a una situazione dei mercati che, almeno per il momento, non sta penalizzando il Paese.

Domani si incontreranno i gruppi del M5s e quelli della Lega, la settimana successiva quelli di Forza Italia, lunedì ci sarà la direzione del Pd. Mattarella ha intenzione di lasciare tutto il tempo necessario a partiti e schieramenti per valutare la situazione, soppesare le diverse possibilita’, avviare i necessari confronti. Del resto già giovedì si sono registrate le dichiarazioni di molti esponenti politici, a cominciare da Silvio Berlusconi, che ha dichiarato la sua disponibilità a favorire la nascita di un governo per evitare lo stallo al Paese. Una disponibilità che prende in considerazione l’idea di una “collaborazione di tutti”. Ma anche Matteo Salvini ha commentato in modo non usualmente favorevole le parole del Presidente. Il primo test, sulla strada di un nuovo esecutivo, sarà l’elezione dei due presidenti delle Camere. Si vedrà quale maggioranza li eleggerà, se sarà una maggioranza foriera di un accordo utile anche al governo del Paese o se invece sarà frutto di una conventio ad escludendum o addirittura slegata da una possibile convergenza sulla strada di palazzo Chigi. La prospettiva delle elezioni anticipate, al momento, non pare poter essere uno strumento di moral suasion verso i partiti, perché ad alcuni un nuovo voto a breve potrebbe addirittura convenire. E il rischio di votare con lo stesso sistema elettorale e ritrovarsi nuovamente con una situazione di stallo, sarebbe, quello sì assai problematico per il Paese. L’imperativo lanciato da tutte le forze politiche è infatti una riforma del Rosatellum (ma dopo il risultato del 4 marzo non è detto che Lega e M5S, i due vincitori siano effettivamente disponibili a toccarla).

Berlusconi apre alle larghe intese, troppo debole Forza Italia per un altro bagno di sangue elettorale

Tra coloro che sembrano voler allontanare il fantasma delle elezioni anticipate a breve, c’è sicuramente Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia non commenta direttamente il monito del Colle ma chiarisce il suo pensiero in una lettera di convocazione inviata a tutti gli eletti in vista di un incontro fissato per mercoledì prossimo alla Camera. Ed è una decisa apertura verso le larghe intese. Bisogna scongiurare, dice, “una paralisi che porterebbe ineludibilmente a nuove elezioni”, “intendo fare tutto il possibile, con la collaborazione di tutti, per consentire all’Italia di uscire dallo stallo, di darsi un governo, di rimettersi in cammino sulla strada della crescita nella responsabilità e nella sicurezza”. Di fatto, Berlusconi mette nero su bianco che la sua priorità è quella di evitare un repentino ritorno alle urne: la debolezza del partito, sorpassato dalla Lega, come sempre tenendo un occhio agli interessi delle sue aziende, lo portano a mostrare disponibilità verso le altre forze politiche. Anzi, verso il Pd, perché è a quel partito che il leader azzurro guarda, convinto che – falliti tutti i tentativi precedenti di formazione di un governo – i dem potrebbero tornare sensibili agli appelli alla responsabilità. Magari spinti anche dalla sua stessa necessità: evitare nuove elezioni che potrebbero penalizzare ulteriormente il partito in termini di consenso. Ed è proprio su questa prospettiva che le visioni di Salvini e Berlusconi si dividono. Il leader della Lega anche oggi ha ribadito che la sua intenzione non è quella di fare accordi partitici, ma di cercare voti in Parlamento sulla base del programma. Di voti, però, ne mancano una cinquantina alla Camera e una trentina al Senato. Un po’ troppi – fanno notare da Fi – per andarli a raccogliere uno per uno. Per questo tra gli azzurri si coltiva il sospetto che in realtà il segretario del Carroccio stia puntando a un ritorno alle urne, per presentarsi ufficialmente come leader della coalizione e cannibalizzare definitivamente Forza Italia.

Aumenta il caos nel Partito Democratico. Scontro al calor bianco tra i ministri Lotti e Orlando

Resta teso il clima all’interno del Pd. Ed è scontro tra il renziano Luca Lotti e il leader della minoranza dem, Andrea Orlando. A quattro giorni dalla Direzione nazionale, che dovrà stabilire la linea da tenere in vista dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato e delle consultazioni che il Capo dello Stato avvierà subito dopo, a tenere banco è ancora il futuro del segretario dimissionario, Matteo Renzi. Tocca al capogruppo uscente alla Camera, Ettore Rosato, chiarire che “Renzi non si ricandiderà alla primarie”. Il che, tradotto, vuol dire che non correrà nuovamente per la conquista della leadership del partito al prossimo congresso. Un chiarimento che potrebbe aiutare a svelenire gli animi e fugare i dubbi di chi, tra i dem, era comunque convinto che Renzi avrebbe ritentato la scalata e che le dimissioni fossero solo una mossa strategica. Quanto al tema delle possibili alleanze, se da un lato sembra ormai scontato, salvo sorprese dell’ultimo minuto, il no all’appoggio a un eventuale governo targato 5 stelle, tuttavia non si placano le polemiche sulle ‘colpe’ di una così cocente sconfitta. A sollevare la questione del legame tra 5stelle e sconfitta elettorale è Andrea Orlando, che parte lancia in resta contro l’attuale dirigenza di largo del Nazareno. Con la premessa di non vedere “le condizioni politiche e programmatiche per un’intesa con Il Movimento 5 stelle, io anzi la credo impossibile”, Orlando ritiene però che la questione venga usata ad arte “per non fare una discussione su un risultato che è stato drammatico. E’ un po’ come buttare la palla in tribuna”. Nettissima la replica del renziano di ferro Luca Lotti: “Ha ragione il ministro Orlando quando chiede un dibattito nel Pd, sul Pd. Almeno, così, avremo modo di parlare di chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, di chi non ha proprio voluto correre e di chi invece ha vinto correndo senza paracadute”. Insomma, va giù duro Lotti, “se vogliamo aprire un dibattito interno facciamolo. Perché sentire pontificare di risultati elettorali persone che non hanno mai vinto un’elezione in vita propria sta diventando imbarazzante”. Parole dure come pietre, che segnalano una guerra civile interna al Pd. La verità è che il partito renziano è morto grazie al voto degli italiani, ed ora le seconde file, i generali, i colonnelli, fino ai caporalmaggiori si scontrano come se in gioco vi fosse il destino personale di ognuno, e non quello del partito, che pure conta su milioni di elettori e militanti.

M5S ostenta tranquillità. Ma sul rapporto con i grillini si spacca Liberi e Uguali

Le parole di Mattarella vengono ben accolte anche dai 5 stelle: “bene il richiamo del presidente della Repubblica. Noi questo senso di responsabilità lo portiamo avanti già dalla campagna elettorale”, afferma Danilo Toninelli. Il candidato premier Luigi Di Maio ostenta tranquillità: “Mi vedi preoccupato? No, siamo tranquilli”, anzi “sono fiducioso”, spiega a margine delle celebrazioni al Quirinale per la festa della donna. E a proposito del rapporto con il Movimento 5Stelle, si registra una profonda, netta, drammatica spaccatura in Liberi e Uguali. Protagonisti Enrico Rossi, governatore della Toscana, e Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana. Enrico Rossi scrive sulla sua pagina Facebook: “ricordo come fu trattato Bersani quando andò a chiedere il sostegno dei cinque stelle per un governo di cambiamento, mi chiedo con che faccia oggi Di Maio pretenda il sostegno del Pd e soprattutto trovo stupefacente che anche in Liberi e Uguali ci sia qualcuno che ci pensi e sia disponibile. Per la sinistra sarebbe esiziale”. Nicola Fratoianni è di parere contrario e commenta in diretta radiofonica: “il M5S sul piano sociale ha contenuti in alcuni casi anche interessanti. Sarebbe utile che sulla base di alcuni punti condivisi, quella domanda potesse essere messa alla prova. Trovo che quell’approccio un po’ vendicativo di Renzi, a prescindere dalla sfida sui contenuti, sia un poco sciocco”. Intanto, sabato è convocata la direzione nazionale di Sinistra Italiana, mentre Pippo Civati convoca per il 17 marzo gli Stati Generali di Possibile.

Intanto, proprio nella giornata dedicata alle donne esplode la polemica sulla parità di genere, e sulla truffa del Rosatellum, che le impone nelle liste, ma non tra gli eletti al Parlamento. Incredibile ma vero, l’Italia fa un vistoso passo indietro. I numeri non sono ancora definiti ma a quanto pare sono meno di un terzo le elette in Parlamento, 185 alla Camera e 86 al Senato. Nel 2013 le donne erano il 31%, ma è stata la prima volta che si raggiungeva una percentuale del genere nella storia della Repubblica (nel 1948 erano il 5%). Il gruppo con più presenze femminili è quello del Movimento cinque stelle. Tania Scacchetti, segretario confederale della Cgil, commenta: “Una sconfitta per tutti. È un altro brutto segnale, insieme al dato sulla sottoccupazione femminile, che rilancia la nostra battaglia”. E se si ricominciasse da qui, per capire le ragioni della sconfitta della sinistra?

Da jobsnews


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