Nitto Santapaola, un boss filo-governativo

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di Natale Bruno

Filo governativo, ‘colomba’, piuttosto che “falco”, negli Anni Ottanta riverito e ossequiato da prefetti, questori, magistrati e comandanti dei carabinieri della sua città, fermamente deciso, contro l’ala stragista di Cosa Nostra, a non dichiarare guerra allo Stato.
Di lui si ricorda la gestione della più grossa concessionaria Renault della Sicilia, la Pam Car, un autosalone con sede nel cuore di Catania, alla cui inaugurazione (1981) parteciparono il Prefetto Francesco Abatelli e il questore Agostino Conigliaro. Ma anche spietato tanto da essere soprannominato il “Cacciatore”. Ha trascorso in carcere oltre vent’anni e in tutti questo tempo mai un cedimento, un passo indietro, malgrado la malattia, il diabete, lo accompagni dalla sua giovane età e tanti disturbi clinici per una rara forma di licantropia che gli è valso il soprannome di “Licantropo”.
Nasce il 4 giugno del 1938 da una famiglia povera, suo padre faceva il ‘saccaro’, Benedetto “Nitto” Santapaola, religioso tanto da frequentare la scuola salesiana sino alla quinta elementare. Giovanissimo inizia a delinquere specializzandosi nelle rapine, nel frattempo coltiva l’hobby del calcio sino a diventare presidente di una società di calcio minore, gli “Ortofrutticoli”, per via di uno dei suoi primi mestieri quello di venditore ambulante di generi di ortofrutta, poi di scarpe, di articoli per la cucina e infine il salto nell’imprenditoria con la concessionaria d’auto.
Nel frattempo l’affiliazione alla famiglia mafiosa più importante di Catania. Diviene “capodecina” sotto la reggenza di Giuseppe Calderone, (Pippu Cannarozzu d’argento) che Nitto spodesta uccidendolo l’8 settembre del 1978, in accordo con i Corleonesi che non vedevano di buon occhio lo storico boss catanese nella loro ascesa sanguinaria ai vertici di Cosa Nostra.
Calderone non era uno qualunque. Sino all’avvento di Nitto Santapaola era il capo storico della mafia catanese: fu lui il 27 ottobre 1962, secondo il racconto di Tommaso Buscetta, a sabotare l’aereo dell’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei, su incarico delle “Sette Sorelle” (le più importanti compagnie petrolifere internazionali, danneggiate dalla politica di Mattei), del successore Eugenio Cefis, assieme ai servizi segreti francesi e americani e ai mafiosi Giuseppe Di Cristina e Stefano Bontate, massoni e amici dei più importanti politici siciliani di allora.
Sono gli anni dell’ascesa definitiva di don Nitto che prende il comando della famiglia catanese di Cosa Nostra eliminando l’unico vero rivale a Catania Alfio Ferlito, assassinato assieme alla scorta mentre, quest’ultimo viene tradotto dal carcere di Enna e a quella di Trapani in quella che la storia ricorderà come la “strage della Circonvallazione”. Siamo nel 1980. Al fianco dei corleonesi di Riina, Nitto Santapaola firma delitti eccellenti come quello del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari (agosto 1980) e sopeattutto quello del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro.
Poi gli assassinii di Catania. Nitto Santapaola chiude la bocca (gennaio 1984) al giornalista Pippo Fava, divenuto un ostacolo perché aveva denunciato dalle colonne de “I Siciliani” i rapporti tra il clan egemone di Cosa nostra e quattro Cavalieri dell’Apocalisse mafiosa”, Rendo, Graci, Finocchiaro e Costanzo, i cavalieri del lavoro ai vertici dell’imprenditoria siciliana di quel periodo. Vent’anni dopo Nitto Santapaola sarà condannato quale mandante dell’assassinio del giornalista.
Mafioso definito “moderato” non ha mai amato il clamore, pur avendo avuto durante la sua latitanza durata oltre un decennio, un ruolo di primissimo piano nella commissione regionale di Cosa Nostra. Vicino a Bernardo Provenzano e a Giuseppe ‘Piddu’ Madonia,  ha fatto parte dell’ala moderata di Cosa Nostra, le cosiddette ‘colombe’ che negli Anni Ottanta e Novanta si sono contrappone all’ala ‘stragista’ di Riina a Catania rappresentato da Santo Mazzei (‘u carcagnusu). Nitto Santapaola era contrario agli omicidi eccellenti decisi a Palermo da Riina – le stragi di capaci e via D’Amelio – una posizione diametralmente opposta ai palermitani che provocò un distacco con gli alleati di Cosa nostra culminato con il rifiuto netto di Santapaola di uccidere il presidente della Regione Rino Nicolosi così come aveva ordinato Riina.
Il 18 maggio del 1993 Nitto Santapaola viene arrestato in campagna a “Granieri” una piccola frazione di Mazzarrone: nel coro dell’operazione “Luna Piena” sono gli uomini dello Sco della polizia guidati da Antonio Manganelli e Alessandro Pansa a bloccarlo a letto con la moglie Grazia Minniti (anni dopo sarà poi assassinata in un agguato da Giuseppe Ferone, un “cursoto” che odiava Nitto Santapaola). Il padrino si complimenta con i poliziotti e chiede di poter fare colazione insieme con la moglie Grazia; quindi, esce dalla villa con le manette ai polsi, dopo aver preso in mano e baciato la Bibbia che tiene in camera da letto, sul comodino. Gli agenti scoprono, con sorpresa, che nel giardino della villa in cui trascorreva la latitanza aveva fatto costruire un altare di piccole dimensioni, con una chiesetta, una statua della Madonna, alcune panche e addirittura un campanile.
Sono i pentiti di mafia della fine dello scorso millennio a rivelare strategie e piani di Nitto il “cacciatore”: un boss riverito che prima di darsi alla latitanza aveva dalla sua parte le più alte autorità cittadine che facevano a gara per partecipare all’inaugurazione dei suoi autosaloni, e soprattutto a non ostacolarlo negli affari illeciti che portava avanti senza problemi.
Maurizio Avola, killer della cosca, rivela che Santapaola aveva organizzato l’omicidio di Claudio Fava, figlio di Pippo Fava per i suoi continui attacchi alla mafia catanese a braccetto con le istituzioni, la politica e l’imprenditoria, ma era fermamente contrario all’uccisione di Giovanni Falcone. Sempre secondo Avola, Santapaola avrebbe avuto frequentazioni con Saro Cattafi e Marcello Dell’Utri con il tramite di quest’ultimo, avrebbe addirittura investito denaro nelle attività Fininvest. In carcere arrivano le condanne definitive. Tre ergastoli anche per la strage di Capaci.

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