Il voto ha punito la vecchia politica a destra come a sinistra

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Il voto del 4 marzo: due successi, una sconfitta storica, nessuna maggioranza parlamentare chiara. Può essere schematizzato così il risultato elettorale che apre per il nostro Paese una nuova fase la quale potrebbe avere anche sbocchi positivi a condizione che se ne comprendano bene le cause del risultato. La vittoria della coalizione del centrodestra e della lista “5 Stelle” è attribuibile solo al populismo e al sovranismo o alla leva della paura da loro praticati? Che questi raggruppamenti politici abbiano colto il grande disagio sociale del paese, del Mezzogiorno, dei disoccupati e dei precari rispondendo ad essi anche con proposte, non so quanto applicabili, non ha influito sul voto dei giovani, dei pensionati, degli operai del Nord, del Mezzogiorno, degli agricoltori e dei ceti medi produttivi?

Il voto ha punito la vecchia politica a destra come a sinistra, infatti Forza Italia e il Pd escono ridimensionati dal voto. Forza Italia e il Pd hanno perso il collegamento con i ceti popolari e più deboli rimanendo arroccati sui ceti medio-alti, identificati con i ceti privilegiati, meno colpiti dalla crisi economico-sociale e pertanto respinti dal voto popolare.

La netta sconfitta della coalizione di centrosinistra, la non affermazione delle liste di sinistra hanno cancellato definitivamente una visione della sinistra novecentesca e quella empirica e mutevole che rispecchia la crisi globale della socialdemocrazia.

Bisogna partire da qui per spiegare, senza rancori, ma con razionalità, la profonda crisi del centrosinistra e della sinistra evidenziata dalle scissioni interne e dai vari risultati elettorali precedenti negativi delle amministrative, del referendum istituzionale e dal rapporto difficile con i corpi intermedi. Pesa nella crisi della sua classe dirigente la mancata lettura alternativa della globalizzazione imposta passivamente secondo le teorie neoliberiste della “Troika”. Ciò ha impedito di confrontarsi con il mercato con nuovi strumenti che non possono essere la chiusura delle frontiere o i dazi, ma con la conquista di una nuova governance democratica che prenda in carico i problemi di esistenza dignitosa dei ceti deboli in ogni paese e nel pianeta. Questi abbandonati a sé stessi, in nome dell’austerità per salvare banche e la ricchezza dei pochi, ovunque si sono orientati verso quelle posizioni politiche di neo-destra xenofoba, razzista, fascista o verso quelle populiste alla Trump.

La crisi culturale riguarda l’intera sinistra europea e non ha risparmiato il Pd di Renzi arroccato sulla difesa del proprio operato, finora incapace di qualsiasi autocritica responsabile. A questo dilemma non sono sfuggite “Leu e le altre piccole posizioni di sinistra” identificati come le vecchie politiche del novecento.

Ripensare, rigenerare la sinistra del XXI secolo è possibile a condizione che si riapra il dialogo con i ceti sociali più deboli, con i ceti produttivi alle prese con la globalizzazione, con il mondo del lavoro sconvolto e ricomposto dalla crisi e dai processi di innovazione, con il mondo della scuola, dell’università e della ricerca. Pilastri fondamentali per una ricrescita sociale ed economica. Occorre un nuovo pensiero e una classe di intellettuali capaci di immaginare un futuro di libertà e uguaglianza.

Tra le tematiche da comprendere ci sono quelle legate ai condizionamenti sui sistemi democratici delle economie criminali, della corruzione e delle mafie sottovalutate e taciute nella campagna elettorale da destra e da sinistra. Altri temi prioritari sono come ridurre le diseguaglianze, la povertà, l’ingiustizia sociale. Dall’aver ignorato queste priorità, o averle affrontate con misure insufficienti è nata l’onda di rabbia sociale e il voto di protesta.

Non riconoscere questi errori e continuare a dire come ha fatto fino a ieri Renzi che la colpa è dei cittadini che non hanno capito, del Presidente della Repubblica che non ha fatto votare prima, o degli scissionisti ecc. ecc… Cercando scuse e non comprendere le cause di una sconfitta storica che cancella un’intera classe dirigente politica non si va da nessuna parte. Rilanciare il progetto di una sinistra unita del XXI secolo è possibile con nuove idee che guardano sempre all’uguaglianza, alla libertà individuale e collettiva, alla democrazia compiuta.

In Sicilia tutto ciò, è esasperato dal fatto che la sconfitta del centrosinistra segue dopo cinque anni di suo governo della Regione e si realizza con un cappotto di 28 a 0. Il risultato siciliano mette a nudo anche le difficoltà del centrodestra vincitore alle regionali. Il voto sembra una dichiarazione di ripudio della vecchia casta politica senza lasciarsi distrarre dai peccati degli eletti grillini. I siciliani hanno votato senza guardare al candidato, e hanno espresso la loro rabbia e la loro disillusione (soprattutto quelli di sinistra) votando 5 stelle. Basta un esempio piccolo, il voto a Piana degli Albanesi, simbolo storico dell’espressione democratica e di sinistra della Sicilia, dai Fasci Siciliani a Portella della Ginestra, sino ad epoca recente roccaforte della sinistra. Il 4 marzo i 5 Stelle volano quasi al 50%, male Pd e Leu.


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