Weinstein, Spacey e l’onestà de mì nonna

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Dev’essere stato il diavoletto che, appena dopo la lettura dell’ennesimo articolo sulle cause del precipizio in cui da un momento all’altro sono precipitati Harvey Weinstein e Kevin Spacey, mi ha fatto cercare sollievo alle umane ambasce nelle pagine di Trilussa (al secolo Carlo Alberto Salustri, 1871 – 1950) facendomi aprire la sua opera omnia proprio sul sonetto intitolato L’onestà de mì nonna che dice:

Quanno che nonna mia pijò marito
nun fece mica come tante e tante
che doppo un po’ se troveno l’amante…
Lei, in cinquant’anni, nu’ l’ha mai tradito!

Dice che un giorno un vecchio impreciuttito
che je voleva fa’ lo spasimante
je disse: – V’arigalo ‘sto brillante
se venite a pijavvelo in un sito. –

Un’antra, ar posto suo, come succede,
j’avrebbe detto subbito: – So’ pronta.
Ma nonna, ch’era onesta, nun ciagnede;

anzi je disse: – Stattene lontano… –
Tanto ch’adesso, quanno l’aricconta,
ancora ce se mozzica le mano!

Il rapporto tra le cronache di oggi e il sonetto del poeta romano evoca un’altalena di sentimenti tra il rimorso di aver subito e taciuto a lungo per le vittime delle prime ed il rimpianto di non aver ceduto per la protagonista dell’altro, il tutto sullo sfondo della solita proposta indecente che troppo spesso e da troppi secoli coinvolge il genere femminile (vedi, tra le tante, alla voce “Trovatore” e poi “Tosca”). Una proposta indecente che però, nel sonetto, è condivisa dai protagonisti tra il potere che molto può concedere, da una parte, e l’aspirazione al potere che, a sua volta, molto potrebbe concedere o rifiutare all’altra parte. Nella scena romanesca l’incontro tra la domanda e l’offerta si articola secondo le più tipiche regole del mercato esaltando la libertà dell’offerta contrapposta alla libertà della sua accettazione o del suo rifiuto cui il proponente si rassegna con rispetto sia nell’uno che nell’altro caso.

Ciò che precipita all’inferno Weinstein e Spacey è la coercizione, la violenza, il superamento del libero arbitrio della vittima prescelta che, invece, nella protagonista del sonetto romano si espande in tutto il suo potere di scegliere di negarsi, prima, e scegliere di pentirsi per essersi negata poi.

A ben leggere le cronache di oggi, ciò che le vittime dei predatori del jet set americano lamentano, non è l’atto sessuale in sé, quanto l’averlo dovuto subire contro la propria volontà, l’essere state trasformate in oggetto, in strumento di piacere, spersonalizzate e ridotte a bambole gonfiabili per assecondare il piacere del potente di turno che, in cambio della loro sottomissione e del loro silenzio, ha promesso di agevolare quell’accesso e sviluppo della carriera che costituisce il legittimo fine di ogni passione e professione.

Nelle cronache di oggi si corre il rischio di concentrare l’attenzione del lettore sull’atto sessuale consumato

laddove il problema sollevato dalle vittime è la costrizione cui sono state sottoposte. La libertà sessuale non costituisce più un problema e ne danno ampia dimostrazione il successo di siti di incontri fugaci esclusivamente a sfondo sessuale e il numero dei filmati pornografici in circolazione sulle migliaia di siti per ogni gusto e propensione. La diffusione di questo vortice pornografico è tale da aver determinato la scomparsa di quelle protagoniste del settore che un tempo furoreggiavano. Una Moana Pozzi o una Cicciolina oggi si annichilirebbero tra i mille filmati postati da casalinghe autoriprese col cellulare.

Se questi sono i costumi che hanno preso piede in pochissimi decenni, il problema non è la diffusione dell’atto sessuale in sé. Ciò che oggi è essenziale richiamare e ribadire è la libertà dell’adesione al rapporto sessuale. È proprio su questa libertà che si decide, come si decise nel sonetto romano, l’onestà de mì nonna.

Sennonché può osservarsi che anche nelle vicende che occupano le cronache in questi giorni, un pentimento delle vittime vi è pur stato: quello di aver taciuto per troppo tempo la violenza subita.

L’incapacità di assorbire l’affronto e di metabolizzare la coercizione la dice lunga sulla profondità della ferita e sulla sua incapacità di rimarginarsi, pur dopo molti anni. A questa impossibilità di cicatrizzare forse ha contribuito anche il ripetersi del dramma fino a diventare argomento di ironia. Dal palcoscenico degli Oscar c’è stato chi, a fronte di una statuetta consegnata ad una brillante attrice, ha commentato che, da quel momento in poi, non avrebbe più dovuto dire che Weinstein era bello. Nella mecca del cinema, che Ronald Regan definì l’unico posto al mondo in cui il suono si propaga più veloce della luce, le abitudini predatorie di Weinstein e le molestie di Spacey non potevano essere un segreto. Il segreto lo portavano sotto la loro pelle le singole vittime, permettendo così che il triste rito della sottomissione sessuale proseguisse.

Lo spaccato dell’ambiente in cui le violenze sono state perpetrate ha permesso che i suoi protagonisti venissero percepiti fino a ieri come uomini di mondo, con contatti e relazioni vasti e vari, bene accetti in ambienti altolocati laddove il grado di brutalità occorrente per vincere la resistenza della vittima, o per sopprimerne la volontà con la minaccia, appartiene alle classificazioni criminologiche delle menti disturbate. Per attuare gesti del genere non basta, insomma, una personalità laida, incline all’inganno e al compromesso, vigliacca e approfittatrice, moralmente depravata. Occorre invece una personalità decisamente criminale, antisociale, dotata di un elevato grado di spietatezza ed insensibilità al dolore altrui, tale che la manifestazione del rifiuto non vale ad inibire l’istinto sessuale verso il soggetto dolente ma anzi, semmai, ad accenderlo.

Di qui l’irreversibile condanna di quelle violenze con l’insorgere di una domanda di diritto comparato: perché la Polizia di New York può oggi parlare di prossimità dell’arresto riguardo a Weinstein mentre in Italia quelle violenze sarebbero già in prescrizione?


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