Pier Luigi Vigna: il diritto come passione civile

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Cinque anni senza Pier Luigi Vigna, senza la sua cultura giuridica, senza la sua passione per il diritto, senza la sua concezione aperta e libera della società; cinque anni, insomma, nel corso dei quali abbiamo avvertito non poco la mancanza di un simile punto di riferimento, essendo rimasti orfani di uno dei migliori interpreti di quella scuola fiorentina del diritto che ha costituito uno dei capisaldi del nostro vivere civile.
Cinque anni nei quali ci siamo interrogati spesso su come avrebbe reagito questo galantuomo d’altri tempi, con un ruolo cruciale anche nella mai così attuale lotta alla mafia, al cospetto di un dibattito politico e giuridico assolutamente degenerato: basti pensare a vicende come il caso CONSIP o all’eterna discussione sul tema delle intercettazioni; per non parlare poi delle dispute inerenti alla loro pubblicazione sui giornali e alla necessità o meno di regolamentarle in maniera più stringente.
Cinque anni nei quali abbiamo avvertito l’assenza della sua serietà e del suo garbo nell’affrontare ogni singola questione, nei quali ci siamo interrogati se potesse avere o meno eredi all’altezza e siamo giunti, infine, all’amara conclusione che ormai apprezziamo determinate personalità persino al di là dei loro effettivi, e non piccoli, meriti, non vedendo stagliarsi all’orizzonte alcun successore della medesima caratura.
Un affetto doveroso, dunque, ma legato anche alla nostalgia, a un senso di vuoto, di incredulità, di alienazione che avvolge le nostre vite e ci induce a guardare con malinconico rimpianto a esistenze che di straordinario hanno avuto soprattutto la propria normalità, in una stagione in cui tutti cercano di stupire finendo col rendersi ridicoli.


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