Macchi, Magalli e la cultura dello spettacolo

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Mentre il mondo rende giustamente omaggio a due icone della bellezza, del fascino e della meraviglia come la Maison Dior e la nostra Gina Lollobrigida (la Bersagliera dei capolavori di Vittorio De Sica), le quali compiono rispettivamente settanta e novant’anni, noi, pur unendoci agli auguri, preferiamo concentrarci su due figure del nostro panorama televisivo, meno celebrate ma non per questo meno importanti e significative.
Giancarlo Magalli, che compie settant’anni proprio come Dior, ed Eros Macchi, di cui ricorre il decimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 5 luglio 2007 all’età di 86 anni, costituiscono infatti due esempi di come dovrebbe essere il varietà televisivo.
Il garbo, la sobrietà, la mitezza, il buongusto, la capacità di trattare i temi che stanno a cuore alle persone comuni, l’intelligenza con cui sono sempre entrati in punta di piedi nelle case degli italiani e il grande rispetto che li ha caratterizzati nei confronti del pubblico li hanno resi due figure di rara gradevolezza, con uno stile lontano anni luce dalle urla sguaiate, dalla volgarità e dall’ignoranza purtroppo dilagante in questa triste, ed ormai lunga, stagione.

Macchi, regista nonché pioniere della tv, e Magalli, protagonista dell’ultimo quarantennio, hanno saputo interpretare meglio di altri il ruolo del servizio pubblico, frequentando sia il registro ironico, leggero e scanzonato tipico del varietà sia quello più serio e grave della cronaca nera o, nel caso di Macchi, della trasposizione televisiva di autentici capolavori della letteratura mondiale.
Approfittiamo, dunque, di questa stagione estiva, in cui si discute di palinsesti, rinnovi contrattuali dei divi del piccolo schermo e ci si interroga sull’anno che verrà, per proporre ai lettori e ricordare ai vertici RAI due modelli che sarebbe bene tener presenti anche in futuro, evitando figuracce come quelle cui abbiamo assistito negli ultimi anni e non lasciando un bene comune essenziale sotto le macerie dell’involuzione aculturale cui sembra stia correndo ad ampie falcate la nostra società.

Macchi e Magalli incarnano, ciascuno a modo suo, la cultura dello spettacolo, l’idea di un’altra tivù possibile, una visione bonaria ma non per questo smielata o melensa del racconto del Paese, un modo di porsi educato ed una rara abilità nel parlare a tutti gli strati della popolazione, includendo anziché escludere o porsi su un piedistallo tanto arrogante quanto ormai assolutamente insopportabile.
Due esempi di buona televisione nazionalpopolare, quindi, in grado di seguire molteplici registri e di rivolgersi ad un pubblico plurale, favorendo, al contempo, la crescita culturale della Nazione e il suo doveroso e meritato svago.
Rendere loro omaggio, augurando a Magalli ancora lunghe stagioni di conduzione, significa pertanto compiere un atto di ribellione, rifiutando l’analfabetismo di ritorno, la cattiveria gratuita e l’insipienza di chi abbonda in grida stentoree ma è carente di idee.
Un atto di ribellione oggi più che mai doveroso.


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