Mattarella e Gentiloni varano il primo governo tipo “vacanze di Natale”, ignorando la ribellione referendaria

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Una volta, per traghettare la crisi si ricorreva al governo balneare “alla Leone”. Oggi, i costumi sono cambiati e ci si affida così al governo alla “cine-panettone”, guidato dal rampollo di una nobile famiglia romano-marchigiana, i Gentiloni Silverj, che agli albori del Novecento riportò i cattolici nella vita politica attiva, dopo il divieto “assolutistico” del Papato.
Nel 1913 c’era il Re di estrazione massonica e anticlericale e l’imperativo categorico era di “fermare a tutti i costi i socialisti” in forte crescita nel paese, percorso da fermenti pre-rivoluzionari, promuovendo una “santa alleanza” tra i cattolici e i liberali di Giolitti. Oggi, un garbato Presidente della Repubblica, discendente da un’importante famiglia democristiana, siciliana, colpita mortalmente dalla mafia, si presta ad un analogo gioco politico: pur di arginare il dissenso dilagante nel paese, espresso con i 19 milioni di NO al Referendum costituzionale, e di frenare l’onda grillina e l’orda leghista, ricorre alla formazione di un governo alla “Vacanze di Natale”.

Certo, siamo vicini al Natale e il paese comincia a respirare l’aria pubblicitaria dei buoni sentimenti, ma questa volta il panettone potrebbe andare di traverso a quanti pensano che una crisi politica, economica e culturale così profonda, con una spaccatura della convivenza sociale che non si ricordava da decenni si possa attenuare, ingabbiare con i soliti rituali di “palazzo”: alla democristiana d’antan, appunto.
A soccorso della politica sono arrivati i media, che hanno cercato di recuperare il gap analitico di quanto è successo la domenica del Referendum. Non ci sono ancora riusciti, perché in questi ultimi anni i gruppi editoriali (alcuni attenti osservatori, come Roberto Saviano, Curzio Maltese e Ferruccio De Bortoli l’hanno stigmatizzato) si sono appiattiti sulle finte verità propagandate dai vari governi, frutti di alchimie eterodirette, espressioni di poteri realmente “forti”, dei grandi gruppi imprenditoriali, finanziari e multinazionali. Hanno cercato di propugnare una realtà che non esisteva, senza andare a scavare nel malessere, negli strati sociali in difficoltà, ad indagare le cause profonde della crisi e l’estensione del malessere che covava nella popolazione. Questa ottusità ha fatto sì che si diffondessero istinti xenofobi, euroscettici, persino qualunquistici; certamente hanno rafforzato quei movimenti e partiti che hanno saputo orientare il vasto e profondo malcontento nei voti, alle comunali e al referendum. E meno male che il movimento 5Stelle di Grillo e la Lega di Salvini con la neo-destra della Meloni hanno finora incanalato questo ribellismo dentro gli alvei della democrazia rappresentativa, altrimenti il nostro paese si sarebbe trovato in uno stato di disordini di piazza davvero incandescente.

Quello che è mancato finora è stata una lettura fuori dagli schemi “scolastici” nell’analizzare il dopo-voto e la composizione sociale, culturale, ideologica degli elettori: i 19 milioni di italiani che hanno votato NO, come i tanti che hanno fatto vincere i sindaci 5Stelle alle comunali di giugno non sono etichettabili di “destra” né di “sinistra radicale”, anche se settori tradizionali della destra e della sinistra si sono espressi contro l’establishment e le alleanze che sostengono il governo Renzi.

Agli occhi degli editorialisti “au caviar” e dei tanti giornalisti ammansiti dai loro direttori e con la schiena sempre più china, sembra non sia concepibile che il paese si sia talmente modificato dal 2008 ad oggi. L’Italia non è quella del loro “narrare quotidiano”, è sfuggita a tutti i parametri cuciti su di lei come in una camicia di forza. Come far comprendere, infatti, ai poteri forti, alle istituzioni europee ed internazionali, che una massa enorme di giovani, senza più ideologie di destra o di sinistra, ha votato contro la politica antisociale di Renzi e contro la sua riforma costituzionale? Che disoccupati, precari, persone in bilico tra licenziamenti senza giusta causa e lavoro nero fino ai 54 anni (quando la loro produttività è massima e la loro professionalità è al top) hanno detto NO senza tentennamenti. Che anche gran parte dei pensionati ha votato No e tutto il Sud si è ribellato alle consorterie e alle varie mafie del sottopotere politico-criminale.

E’ stata un’altra “Caporetto” dell’intellighenzia occidentale, dell’ottusità dei grandi media tradizionali e anche online, intenti ad osservarsi l’ombelico e a tessere gli elogi dei loro “campioni” politici, a preservare l’esistente, come già successo con la Brexit e con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Usa. Ma anche nell’incaacità di recepire i tanti segnali di malessere e disagio che vengono da altri paesi meno danneggiati dalla crisi: la Germania con la crescita della neo-destra di AfD della Frauke Petry e il declino inarrestabile della Merkel e dei socialdemocratici suoi alleati; l’inaspettata ascesa del più conservatore dei pretendenti alla presidenza della repubblica francese, François Fillon, e della non impossibile vittoria al ballottaggio di primavera della populista Marine Le Pen e la pressoché scomparsa di scena dei socialisti di Hollande; il dilagare in Europa di partiti nuovi con giovani leader che lanciano messaggi e usano linguaggi diversi dal passato, che riescono a convogliare demagogicamente sull’irredentismo, l’identitarismo culturale e religioso, sulla xenofobia e la difesa dei diritti fondamentali della persona, soprattutto le nuove generazioni e la gente esasperata dal “demone della globalizzazione”.

Sarebbe ora, in realtà, di parlare più appropriatamente di “progressisti e conservatori”, perchè specie tra i giovani si trovano tanti “orfani” della destra storica, ma al tempo stesso portatori di ideali sociali e umanitari, aperti alle innovazioni e sostenitori dei diritti allargati, comunque preoccupati del loro futuro e delle povertà che avanzano tra tutti gli strati sociali. Così come una stessa evoluzione la stanno vivendo i ragazzi e le ragazze definibili di sinistra, che non si sentono più rappresentati dai partiti tradizionali nè dai tanti gruppi nati sulla scia degli Indignados, dei Podemos o di Syriza: anche loro in cerca di nuove utopie. Equità, solidarietà, tolleranza, difesa dei diritti universali e tutela del futuro, “diritto alla felicità”. Ecco la “Nuova Frontiera” cui si indirizzano le ultime generazioni e i tanti italiani “senza collare”.

Da un’analisi del genere, senza pregiudizi ideologici, occorre ripartire per fronteggiare un’eventuale deriva ribellistica in Italia, anche alla luce di come si è conclusa la crisi di governo, privilegiando la “normalizzazione”, anziché osare in avanti, ascoltando il grido di cambiamento. In un altro paese a democrazia più matura, il capo dello stato avrebbe incaricato il leader del maggior partito di opposizione, preso atto delle dimissioni del premier sconfitto al referendum, anche sapendo che i 5Stelle con difficoltà avrebbero potuto trovare una maggioranza parlamentare. Ma avrebbe così messo alla prova i “grillini” e testato il terreno del loro senso di responsabilità istituzionale. Si sarebbe andati probabilmente ad un governo tecnico di scopo, per cambiare giusto la legge elettorale e poi indire le elezioni. Un percorso arduo, ma necessario, che però è stato scartato a favore di un più rassicurante: “adelante Paolo con juicio, molto juicio” di manzoniana memoria. Ma quella scelta prudenziale produsse una piaga ancor più purulenta!


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