L’anno che verrà

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“Will you still need me, will you still feed me …when i’m sixty four”: avrai ancora bisogno di me, Mi darai ancora da mangiare quando avro’ 64 anni? Quando i beatles incisero questa canzone, nel 1967, quella era un’eta’ decisamente da anziani. E se John Lennon – ahime’ – non e’ riuscito a raggiungerla Paul Mccartney – nel 2016 – di anni ne ha compiuti  dieci di piu’, 74. Mentre Mick Jagger – che ne ha appena uno di meno – qualche giorno fa e’ diventato padre per l’ottava volta.

Anche l’Europa ha un’eta’ rispettabile, sessant’anni ancora da compiere. Ed e’ a  Roma, dove  – con i celebri trattati – venne firmato il suo atto di nascita, che ha intenzione di celebrare l’importante compleanno, il prossimo 25 marzo. Ma la festa rischia di avvenire in un clima particolarmente agitato: la settimana prima ci saranno le elezioni in Olanda. Uno dei sei paesi (Italia compresa) che nel 1957 erano intorno alla culla, al Campidoglio, nella sala degli Orazi e Curiazi. E sembravano allora particolarmente felici. Ma si sa che a quella generazione, appena uscita dalla guerra, bastava poco per essere contenta. Invece la primavera prossima dall’Aja potrebbe arrivare un dispiacere per l’Europa. Il partito di quelli che vogliono farne a meno rischia di risultare  il primo. E comunque vada gli euroscettici torneranno alla carica in Francia, fra aprile e maggio, ed in Germania, a settembre.

Come in tutti gli ultimi appuntamenti con le urne nessuno ha idea di cosa pensino, sull’argomento, i giovani, quelli che sono nati quando l’Europa c’era gia’. Quelli che hanno adesso l’eta’ dei Beatles quando loro scrivevano le canzoni. Di sicuro in Gran Bretagna erano a favore del “remain” ma non si sono presi troppo la briga di andare ai seggi. E cosi’ sono stati i cittadini piu’ anziani a decretare, compatti,  la Brexit. Piu’ o meno i coetanei di quelli che – negli Stati Uniti – hanno plebiscitato Trump (classe 1946). Mentre Hillary (70 anni compiuti lo scorso 26 ottobre) non e’ riuscita a scaldare i loro cuori. Molti dei quali avevano battuto invece per un settancinquenne, il senatore Sanders.

Intanto in Italia il presidente del consiglio piu’ giovane della storia e’ stato costretto alle dimissioni dopo che le sua riforma della costituzione e’ stata  respinta con il massiccio contributo proprio degli elettori a lui – sulla carta – piu’ vicini dal punto di vista anagrafico. Al contrario la maggioranza di  quelli che di Matteo Renzi hanno l’eta’ per essere genitori (o perfino nonni) hanno votato convintamente si’ al referendum.

Dunque nel ventunesimo secolo i giovani hanno perso la capacita’ di fare le rivoluzioni? Ripensando alle immagini delle primavere arabe di qualche anno fa non sembra proprio cosi’. Ma forse perche’ da quelle parti i giovani sono ancora la maggioranza, come in Europa durante gli anni del boom economico. Mentre adesso – nella nostra parte di mondo  – i giovani sono una minoranza, dal punto di vista numerico. Succede cosi’ – troppo spesso – anche nelle redazioni. Dove giovani ed “esperti” si guardano con sempre maggiore diffidenza, anche se spesso – piu’ che l’eta’ – e’ il contratto (vecchio o nuovo) ad effettivamente separarli. A tenerli distanti senza troppa voglia di dialogare su come questo mestiere vada fatto nei tempi che cambiano. Quando i giornalisti sono sempre piu’ spesso equiparati al “sistema” da abbattere. Quando troppa informazione uccide la buona informazione. Quando ci sarebbe bisogno – perfino piu’ che in passato – di servizio pubblico. Di un minimo di notizie – utili ed attendibili – a disposizione effettivamente di tutti i cittadini. Cosi’ come lo sono (o dovrebbero esserlo) un minimo di scuola, di sanita’, di trasporti.

Gli elettori arrabbiati lamentano di non essere ascoltati, ancora prima che dai politici, dai giornalisti. Che non solo non parlano piu’ con loro (gli elettori) ma nemmeno …fra di loro (i colleghi). La divisione allora non e’ fra vecchi e giovani ma piuttosto fra sordi e muti. Fra chi – nonostante le incredibili novita’ di questo 2016 – continua ad organizzare il business “as usual”. E chi – costretto a fare troppe cose contemporaneamente (scrivere, filmare, gestire il sito) – non ha piu’ la voglia, e nemmeno l’energia, di interrogarsi se sia davvero questa la maniera piu’ efficace di raccontare il mondo. Diviso secondo linee diverse da quelle conosciute. E dunque – per chi, naturalmente, dovrebbe essere portato a raccontare le novita’ – piu’ interessante, anche se, naturalmente, anche piu’ incerto. Speriamo che le cose cambino nell’anno che verra’, come auspicato da lucio dalla (classe 1943). Per il momento, nonostante le reti 24 ore su 24 ed i social media, “si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane”. Anche in un’ Europa sempre piu’ incapace di raccontarsi attraverso i valori che rappresenta. Piuttosto che attraverso i problemi – spesso poi nemmeno colpa sua – che non e’ in grado di risolvere.


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