Istat e Confindustria, orgia di numeri

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Ci provano a dire che l’economia riparte. Ma i dati dicono che la crisi è lontano dall’essere superata. Incombe la povertà. Federconsumatori e Adusbef: redistribuire i redditi e creare lavoro

Di Alessandro cardulli

Un’orgia di numeri. La statistica impazza. Istat fa la parte del leone, ci propina di tutto di più, e il suo contrario. Confindustria non ci sta a rimanere al palo e l’ufficio studi dopo aver previsto l’inferno che si prospettava nel caso di vittoria del no al referendum ora rivede i dati economici tutti in rialzo. I ricercatori di Viale dell’Astronomia esultano: “L’economia si è rimessa in moto”. Fa coro Istat che diffonde i dati  resi noti dal “Rapporto sul benessere equo e sostenibile”. Trattandosi di una indagine sul “Benessere” ovviamente non si poteva che affermare, come ha fatto qualche agenzia di stampa, che “il paese è ripartito ma qualcuno non se ne è accorto”.

Ormai siamo abituati a questi trucchi. Gratta gratta, scopri che la realtà che emerge dalle stesse statistiche è ben diversa. Prendiamo il rapporto “Benessere” secondo cui aumenta la quota di persone che esprimono una soddisfazione elevata per la vita nel complesso, è cresciuto il reddito disponibile, sono aumentati i consumi, compreso quello di frutta e verdura, si è ridotta la quota di adulti in sovrappeso e sono aumentati i diplomati e i laureati. Stupendo, in particolare, l’aumento dei consumi di frutta e verdura. Eccezionale la riduzione della quota di adulti in sovrappeso.

Nelle crisi, pochi si arrichiscono a spese della collettività e cresce la povertà

Non neghiamo che ci siano persone che “esprimono una soddisfazione elevata”. Un dato tipico delle società che hanno per fondamento il mercato, punto e basta: c’è chi si arrichisce e  può far  crescere il reddito disponibile (+ 1%) rispetto al 2014 e il potere d’acquisto (+0.9). Si tratta di inezie, di numeri che vanno e vengono. Così quelli relativi alla “lieve crescita” del tasso di inflazione, +0,1 a novembre rispetto al 2015, in calo sul mese –0,1%. “Dati altalenanti e incerti, che testimoniano come la nostra economia faccia ancora fatica a riprendersi – affermano Rosario Trefiletti e  Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef – tanto che i consumi delle famiglie dal 2012 ad oggi  hanno  registrato una diminuzione pari al -10,8%, che equivale ad una minore spesa da parte delle famiglie di circa 76,7 miliardi di Euro. Un dato che dà chiaramente la misura delle rinunce degli italiani negli ultimi anni, nonché della sofferenza sul versante produttivo e occupazionale. Per questo è estremamente urgente intervenire per redistribuire i redditi e creare nuova occupazione”. Istat dopo aver  raccontato che gli italiani sono sempre più soddisfatti della loro situazione fa dietro front.

La crescita del reddito disponibile non modifica le disuguaglianze

Scopre che “la crescita del reddito disponibile non ha modificato la disuguaglianza – nel 2015 il valore è identico a quello del 2013, il più alto dell’ultimo decennio – che si conferma saldamente sopra la media europea: il rapporto tra il reddito percepito dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi è pari nel 2015 a 5,8 in Italia, contro una media europea di 5,2”. I segnali positivi, bontà sua, dice Istat sembrano non coinvolgere quanti vivono in condizioni di forte disagio economico. Ancora: nel 2015 la quota di persone a rischio di povertà sale al 19,9% dal 19,4% del 2014, e la povertà assoluta cresce raggiungendo quota 7,6%, pari a 4 milioni e 598 mila persone, a seguito dell’aggravarsi della condizione delle famiglie più ampie, in particolare le coppie con due figli e le famiglie di stranieri. In Italia il disagio economico è legato alla difficoltà per famiglie e individui a entrare e restare nel mercato del lavoro: l’11,7% delle persone vive in famiglie con intensità lavorativa molto bassa, valore che sale al 20,3% nelle regioni del Mezzogiorno.

Ignorati i problemi i dei giovani che si sostengono grazie a genitori e nonni

Un dato che stranamente il rapporto sul Benessere ignora riguarda i giovani. Ne parlano Trefiletti e Lannutti: “È inaccettabile che molti giovani nel nostro Paese riescano a mantenersi solo grazie al sostegno economico di genitori, nonni, parenti, con un onere a carico delle famiglie che abbiamo calcolato pari a 450 Euro al mese. Questo a causa della mancanza di opportunità lavorative, della mancanza di possibilità di costruirsi un futuro”. Trattandosi del rapporto sul Benessere nessun cenno al taglio dei servizi pubblici, al Servizio sanitario nazionale con una spinta verso la sanità privata, che non garantisce a tutti i cittadini l’accesso alle cure.

Permane l’inquietudine  delle famiglie per il futuro

Scorrendo il rapporto viene fuori la realtà, si scopre che  le famiglie non sono affatto contente della loro situazione, eccetto ovviamente i benestanti che ci sono eccome. Vediamo alcuni numeri: il 9,6% della popolazione lamenta condizioni abitative difficili, il 27,8% vive in abitazioni troppo piccole, valore doppio rispetto alla media europea. In troppi non possono permettersi una spesa improvvisa di 800 euro, o una settimana di vacanze. La grave deprivazione materiale incide sull’11,5% della popolazione nel 2015, dato praticamente invariato rispetto all’11,6% dell’anno precedente. Permane l’inquietudine per il futuro: diminuisce la quota di quanti pensano che la propria situazione nei prossimi 5 anni migliorerà (26,6%, dopo il 28,1% nel 2015).  Il Bes lancia inoltre un altro importante campanello d’allarme: stiamo dando fondo alle riserve. Il potere d’acquisto è aumentato ma l’ammontare della ricchezza netta media annua pro capite, pari a 88.625 euro, cala di oltre il 10% rispetto al 2012, scendendo a un livello inferiore a quello del 2006. Ancora dal Bes 2016 emerge che  appena due persone su 10 esprimono un’elevata soddisfazione per i rapporti con parenti, amici e colleghi.  Siamo sotto di 17 punti percentuali rispetto alla media europea (39,2%) e colloca il nostro Paese in penultima posizione nella Ue a 28, dopo c’è solo la Bulgaria.

Per quanto riguarda il lavoro siamo alle solite. Si dovrebbe chiarire cosa intendiamo con questa parola altrimenti quando si dice che aumenta il tasso di occupazione non si dice la verità. Perché nella parola occupazione sono comprese, lo ammette Istat, persone “a bassa intensità lavorativa” che lavorano meno del 20% del proprio potenziale ed anche l’esercito dei voucher.

 Sono i numeri a smentire l’ottimismo di Confindustria

Passiamo a Confindustria che vede una economia che si è rimessa in moto. Non si capisce come. O meglio i ricercatori di viale dell’ Astronomia prendono i dati che loro stessi avevano diffuso a settembre, ottobre, quando in pieno clima referendum prevedevano sfracelli se avesse vinto il no. Rispetto a quei numeri ora fanno sapere che le previsioni segnano in genere un +0,1. Spieghiamo: avevano previsto un aumento del Pil dello 0,9 ora passano al +1%. Prevedono aumenti dell’occupazione ma per tornare agli occupati del 2008 non se ne parla: saranno più di un milione in meno, se lo dicono loro c’è da crederci. Sarebbe interessante sapere dove sono finiti quei miliardi, tanti, incassati grazie al jobs act del duo Renzi-Poletti. Sempre da considerare che occupazione non significa a tempo pieno. L’economia riparte, affermano più volte i ricercatori di Confindustria ma il deficit passerà dal 2,4, al 2,5 e al 2,6 nel 2018, il debito pubblico peggiorerà passando dal 132,7 al 133,4 nel 2017, al 133,7 nel 2018. Ci fermiamo qui. Pensate che succederebbe se l’economia non si fosse rimessa in moto. Davvero le bugie hanno le gambe corte.

Da jobsnews


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