Note critiche su “Mi chiamo Lina Sastri” – dopo il Quirino di Roma, in tournée nazionale (da gennaio al Trianon di Napoli)

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V’è indubbiamente un guizzo di autostima, di residuale, trascorsa gavetta  nel titolo asseverativo e   di calmo orgoglio  (mai esibita baldanza o finta timidezza) che Lina Sastri imprime a  questa sua nuova tavolozza di musiche, canzoni, monologhi da collaudato, apprezzato repertorio- ormai prossimo al mezzo secolo di apprendimento, sacrificio, ostinazione, successi e rare inesattezze di mira.  Indubbiamente bella, mediterranea, attraente, la poliedrica interprete  veste con eleganza i suoi abiti di rosso-incendio che danno risalto alla ‘scapigliatura’ sulla sua scura epidermide:  a delineare  un volto espressivo e volitivo che non fa sconti all’evoluzione del tempo, dei sentimenti, delle padronanze o disincanti della vita: di donna, di attrice, di persona consapevole, senza soluzione di continuità

Quando  s’apre il sipario ella   appare qual   figura minuta ma di polarizzante presenza scenica. Le sue  movenze sono aggraziate ma determinate, ben calibrate, molto sensuali perché” il fascino è fascino” – e se non lo possiedi non puoi dartelo. E quindi  Lina  canta, balla, solfeggia   con elementi di mimica appena accennati :  la sua espressività  sta infatti nel minimo gesto delle braccia e delle  mani ,  quasi fosse un (per chi assiste) un ‘ravvicinato’ dettaglio cinematografico che poi serve, nell’ampliarsi della sequenza, a sottolineare, dare anima e nerbo pad una sua personale potenza “tutta partenopea”, che non è mai di maniera o trepidazione emotiva- ma sentimento fiero e sofferto d’una eredità che le appartiene per diritto di sangue e di militanza artistica.

La scenografia, nata da un disegno scenico di Alessandro Kokocinski , è semplice, lineare con tre finestre stilizzate sulle quali piovono  raggi di luce che ‘illuminano’  ad hoc ogni  passaggio poetico-recitativo. Dovendosi  poi avvalere di   un video- schermo su cui viene proiettato ciò che è in sintonia con il percorso scenico:  il mare,  ad esempio, elemento imprescindibile per la natura dell’attrice- o brevi percorsi  (icone testimoniali, lari) di quel che fu recitato in altri tempi sempre in compagnia di  musiche (antiche e moderne), poesia (altrettanto)  e prosa (di ogni genere)

Intanto, lentamente e  lateralmente,  abbracciato ad una tenda,  scende  la cara effige di  Pulcinella, “numen loci” a protezione dello spettacolo,  ma anche  ‘personaggio’  da Cirque  du Soleil, che – per immaginazione- potrebbe liberarsi dalla tela e  uscire dall’immobilità  per muoversi, da un momento all’altro, come solo l’antica maschera atellana saprebbe a fare  Una paratia  mobile,  a tratti trasparente o opacizzata,  nasconde o rivela , a seconda  delle circostanze , i componenti dell’orchestra (dal vivo) che, per affiatamento e sintonia con la protagonista, dimostrano competenza ed esperienza di rara compattezza.

Probabilmente è  proprio da questa eiedetica circostanza   che  scaturisce il   “vero e proprio”  nucleo irrazionale ma incantesimale della serata: quando le ‘voci’ così particolari  del violino o del sax alto si esprimono nel contesto delle  melodie, che non è  fondamentale ‘comprendere’ in tutti i loro lemmi    (volutamente rapidi, non distinguibili com’è stile della Sastri), poiché a risaltare è il climax d’una ritualità- a suo modo -ipnotica, balsamica  (tutti immersi in una sorta di  ‘amniotico’ ritorno),  in cui la musica del passato e del presente si mischiano senza soluzione di continuità. Essendo, esse,  substrato, tappeto evocativo  delle  “perle di citazione” dal teatro di tradizione che sono ‘l’altra anima’ dell’artista.

Giudiziosa e pragmatica nel dividere  in cinque ” quadri ” il percorso dello spettacolo , che risulta così impregnato di apparizioni ‘fantasmatiche’, div(l)aganti,  oniriche- come ad esempio   la discesa dall’alto  della Madonna  delle Rose mentre  Lina recita un frammento di   “Filomena Marturano “.    Cinque quadri-la memoria , il mare , la terra, il cielo, la solitudine-   la rinascita- ma nessuna calligrafia, sterile nostalgia, folkloristico (colorato) rammarico.

Fosse un film, sarebbe ‘virato’ in color seppia.

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“Mi chiamo Lina Sastri”  scritto e diretto da Lina Sastri
Idea scenica e disegno luci Alessandro Kokocinski  direzione musicale e arrangiamenti Maurizio Pica  con Filippo D’Allio, chitarra / Gennaro Desiderio, violino / Salvatore Minale, percussioni  Gianni Minale, fiati / Pino Tafuto, piano / Antonello Buonocore, contrabbasso
Produzione Ente Teatro Cronaca VesuviotTeatro.  


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