Migranti, la task force italiana che dà un nome ai morti in mare

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Si chiama “I diritti annegati” il libro di Cristina Cattaeo e Marilisa D’Amico che raccoglie tutto il lavoro fatto in questi mesi da un team di esperti per identificare le vittime dei naufragi. “In Italia abbiamo fatto molto, ma a livello europeo registriamo solo sordità”

ROMA – Le salme finora recuperate sono 12, ma il bilancio si annuncia molto più grave: potrebbero essere, infatti, 239 le vittime dell’ultimo naufragio di ieri, a 25 miglia dalla costa libica, secondo quando hanno raccontato i superstiti arrivati nella notte a Lampedusa. Un bilancio tragico che allunga la lista dei morti in mare nel 2016, un anno nero che sfiora già le quattromila vittime accertate, in base alle stime dell’Unhcr.

Alla strage senza fine nel Mediterraneo è dedicato “I diritti annegati”, di Cristina Cattaneo e Marilisa D’Amico (edito da Franco Angeli): un libro che analizza le procedure di identificazione delle vittime, messe a punto dal team di ricerca dell’Università di Milano, coordinato dalla professoressa Cattaneo. “Un lavoro straordinario, portato avanti dall’Italia, che ci invidiano tutti – sottolinea la deputata Milena Santerini, durante la presentazione del volume oggi alla Camera -. Abbiamo costruito un protocollo, a partire dalla strage di Lampedusa, anche se non c’era obbligo di identificazione dei cadaveri”. Sulla stessa scia anche Vittorio Piscitelli, commissario straordinario per le persone scomparse: “questo è un grande contributo del quale si sentiva la  mancanza, in questa nostra esperienza ci siamo scontrati con molti vuoti, soprattutto legislativi – aggiunge -. Ma anche se in questi eventi non eravamo mai stati coinvolti prima ci siamo inventati qualcosa, un progetto che ci sta facendo fare bella figura come paese. A livello europeo, invece, registriamo solo sordità. Nonostante tutto andiamo avanti. Pensiamo che il diritto all’identificazione impatti anche con i diritti dei vivi, con il diritto a elaborare un lutto, ma anche col diritto a essere riconosciuti come orfani o vedovi”.

Il libro descrive le procedure messe a punto finora per dare un nome alle vittime del mare, ma vuole essere anche una denuncia per richiamare l’attenzione su un “fenomeno che tocca dal profondo i nostri principi costituzionali – sottolineano le autrici – i quali non tollerano ingiustificate distinzioni dettate dal solo fatto di essere nati a nord o a sud del Mediterraneo”. “Questo è un disastro massa al quale non avevamo mai assistito prima – afferma Cattaneo – ma è un disastro diluito nel tempo e sparpagliato geograficamente, di fronte al quale c’è una grande immobilità. Le scuse usate sono che non possiamo muoverci su questi morti, perché non abbiamo un’anagafe, ma la nostra esperienza prova il contrario”. In questi mesi Cattaneo è stata impegnata a Melilli nell’identificazione delle salme del naufragio del 18 aprile 2015, in cui persero la vita più di 800 persone. “Abbiamo portato avanti un esperimento pilota con l’ufficio per le persone scomparse cercando di identificare le vittime. La raccolta dei dati dei parenti è molto complessa, ma dopo la strage di Lampedusa abbiamo messo su una task force – aggiunge -. E’ stato un momento unico che ha visto agenzie diverse lavorare in perfetta sinergia. Dieci università, la squadra mobile, il Miur, la conferenza dei rettori e tanti altri, insieme abbiamo dimostrato nuovamente che questa cosa si può fare. Cercheremo di creare un’infrastruttura per raccogliere tutti i dati in maniera garantita e certificata. Chiaramente abbiamo di fronte anche tanti vuoti normativi e un problema di sostenibilità economica, perché finora tutte le spese sono state a carico di chi ci sta lavorando. L’Europa deve fare la sua parte, perché questi morti non sono solo dell’Italia”.

Il libro rappresenta la prima uscita della nuova collana diretta da Gustavo Zagrebelsky e Marilisa D’Amico “I diritti negati”. “Il tema di fondo è quello dell’uguaglianza – spiega D’Amico – Negare sepoltura e nome significa negare dignità e uguaglianza a chi non c’è più ma anche alla sua famiglia. Su questo è importante che l’Europa agisca in base agli strumenti che ha, con regole condivise e generali”.

Per il prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento Libertà civili e immigrazione: “dobbiamo essere orgogliosi di quello che si sta facendo ne nostro paese e lo dobbiamo dire forte. Anche oggi, come nulla fosse, stanno tornando a terra dodici vittime, ma i morti sarebbero molti di più – sottolinea -. Nonostante questo siamo di fronte a una situazione europea e nazionale particolarmente complicata: in Europa sta avanzando una proposta della presidenza slovacca che cerca di rimettere completamente in discussione l’agenda Junker e l’idea della redistribuzione dei migranti. Tutto questo succede verso un paese, l’Italia, che sta facendo con grande dignità il suo lavoro. Ma il clima è velenoso anche sui vivi – conclude – si va saldando una sorta di indifferenza fondata su strumentalizzazioni e falsità”. (ec)

Da redattoresociale

 


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