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. Poi cominceranno a fioccare gli exit poll, poi le proiezioni e le esternazioni di chi dirà di aver vinto perdendo o gli si leggerà in faccia di aver perso pur vincendo. Dal Friuli alla Lucania, molti mi chiedono: come finirà? Non sono frate indovino né ho consultato, per quel che possano valere, sondaggi segreti e compiacenti. Quel che vedo scrivo. Una campagna per il No, questa volta, si è sviluppata. Nelle sale e salette affittate per le “iniziative”, sui treni e nei caffè, nel volantinaggio ai mercati, – ieri un altoparlante elencava i guasti della “Deforma” alla Porta Genova di Milano -, nella calca degli autobus nelle ore di punta. Un pezzo della sinistra – mi occupo in particolare di sinistra perché, ahimè!, è da lì che vengo – è tornata a battersi per il No, dopo anni che s’era allontanata da partiti e gruppi. La cosa che, personalmente, trovo più incoraggiante è la partecipazione (non troppo rumorosa ma determinante) di tanti giovani. Giovani che trovano pretestuosi gli slogan per il Sì. Specie dopo che Renzi ha annacquato la sua minestra dicendo di voler cambiare l’Italicum, rinunciando a farci eleggere il “sindaco d’Italia”, un premier inamovibile per 5 lunghi anni, che preferibilmente di nome faccia Matteo. Ma così alla fine – dicono queste ragazze e questi ragazzi – la riforma diventa un inutile sfregio alla Costituzione. Mentre per loro la Costituzione, scritta dopo la guerra contro il nazifascismo, da diversi se non da nemici, (De Gasperi e Togliatti, Marchesi e Croce) resta una delle poche cose di cui vantarsi, per cui sentirsi orgogliosi di essere italiani. Ecco, questa ricerca di un tema unitario, di un collante nazionale che ci tenga insieme o ci faccia litigare ma senza dover ricorrere alle armi, senza uccidere né morire, questo sentimento diffuso tra tanti giovani, mi sembra la novità più bella emersa dalla campagna. Un sentimento, neo-costituente o ri-costituente, che si manifesta anche a destra. Sono intervenuto (pensate!) alla scuola quadri della Lega, ho apprezzato Mara Carfagna in televisione – che figura, la Madia! -, ho salutato ex amministratori di centro destra che partecipavano a mie iniziative di sinistra per il No.

Piazze piene urne vuote, avvertiva Pietro Nenni. Però ho la fortuna di sentire per strada anche gente diversa, donne e uomini che non vanno ai “comizi” (come si sarebbe detto un tempo), che se ne restano a casa a farsi bombardare dalla propaganda del premier, ma a cui fa piacere parlare con quello che credono di conoscere, perché un tempo lo vedevano in Tv. E spesso mi pare di cogliere un sentimento di rigetto, se non di indignazione. “Renzi è dovunque, a ogni ora”. Colgo stupore per la narrazione ottimista, se non enfatica, dei successi del governo e della politica economica. “Mia figlia non trova lavoro. Il mio prende i voucher. Ho fatto un assicurazione sulla vita, rende poco, ma comprare una casa.. e poi? Se va peggio, chi penserà ai nipoti?” A giudicare dalle chiacchiere, senza importanza, che mi capita di fare, il clientelismo di De Luca potrebbe rivelarsi un boomerang. A Catania, un signore di mezza età che ha dovuto dismettere la serra che possedeva ed è senza impiego, mi parlava di dignità: “Ora promette investimenti in Sicilia, lavoro, il ponte sullo stretto. Ma qui a Catania ci teniamo alla nostra dignità”. È vero, ho incontrato, in via dei Giubbonari a Roma, anche una “imprenditrice” (cioè ha un negozio) che mi apostrofava: “Lui ha promesso di levarci le tasse e lei lo vuole far cadere!”. Mi capita di discutere affabilmente con pensionati “made in PCI”: “Arriva Trump e voi non dovete indebolire il governo di questo giovane”. E tuttavia non mi sembra che il “Main street”, il senso comune, sia in sintonia con la crociata del premier.

C’è però un mondo che noi non conosciamo, che i sondaggi non raggiungono, che i giornalisti non comprendono e che sfugge alle telefonate di chi fa i sondaggi. Nel 2004 Kerry era dato vincente: durante il conteggio dei voti si capì che aveva saputo portare alle urne 4 milioni di democratici in più di Al Gore. Ma Bush e Rove ne avevano convinto 8 milioni. Tanti americani dell’interno, gente con la bibbia sul comodino e un fucile sotto il letto. Erano andati, per una volta votare, e Bush aveva vinto nonostante la guerra.

Maggioranze silenziose, Renzi, scrive Antonio Polito sul Corriere, ha dismesso l’ardore riformista e si sta rivolgendo proprio a tali “maggioranze silenti del paese reale”. “Voti tradizionalmente conservatori e solitamente di destra”. Quelli che nel 1948 diedero la vittoria a De Gasperi, nel 1996 si turarono il naso per votare ancora Dc, nel 2008 scelsero l’azzurro di Berlusconi. “Ma la domanda cruciale, la cui risposta determinerà non solo l’esito del referendum ma forse anche il futuro della politica italiana per molti anni a venire, è se questa «maggioranza silenziosa» esista ancora. C’è da capire insomma – scrive Polito – se quell’universo di ceto medio affezionato allo status quo, teso a proteggere proprietà e risparmi, e a difendersi dai sommovimenti sociali e culturali, sia ancora maggioranza nella nostra società; e se in ogni caso non sia diventato nel frattempo tutt’altro che silenzioso, ma anzi sempre più attratto da chi urla. In fin dei conti, è proprio questa la mutazione politica che l’impoverimento dei ceti medi ha introdotto in tutto l’Occidente: non è stata silenziosa la base sociale che ha dato la vittoria a Trump o alla Brexit, e per diventare maggioranza non ha esitato ad allearsi con le minoranze più estremiste. Farà eccezione l’Italia?”

Conoscete la mia risposta. Penso che il ceto medio non sia più quello che in America moderava un tempo sia Repubblicani che Democratici, che oggi non si vergogni di votare Le Pen o il socialista Sanders. Credo che questa mutazione, della nostra società e della nostra democrazia, abbia messo un crisi il “saggio” conformismo dei giornalisti indipendenti, come l’affidabilità dei sondaggi e la narrazione della Terza Via, che pretendeva di mediare tra il cielo dei “mercati” e la terra del welfare. Così penso, questo capisco. Posso aver torto.

Da corradinomineo


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