Rottamatore e Rottamato al bivio

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Il “passato” ha la faccia di Massimo D’Alema, il “futuro” la sua. Matteo Renzi, il “rottamatore”, ha individuato D’Alema, il “rottamato”, come l’emblema della “vecchia guardia” del partito, della sinistra conservatrice. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd rimprovera a D’Alema di essere un “gufo”, un conservatore che vuole bloccare le riforme strutturali per dare un futuro ai giovani e all’Italia; infatti, quando era lui al governo, ha regnato l’immobilismo e il paese è regredito. Una visione opposta ha l’ex presidente del Consiglio, già segretario del Pds-Ds. Ha ribattuto: i giovani voteranno ‘no’ al referendum costituzionale del governo e non ‘sì’, l’Italia va male, Renzi non ha mantenuto le promesse, ha perso le ultime elezioni: ha causato una “rottura sentimentale” oltre che politica tra il Pd e una parte dei suoi elettori di sinistra.

Colpi sempre più duri, micidiali. Matteo Renzi e Massimo D’Alema non si sono mai amati. Ma adesso la “guerra” nel Pd tra il giovane quarantenne fiorentino e il veterano sessantenne romano è salita di tono: è passata dallo scontro politico alle ironie e agli sberleffi personali. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd, intervenendo ad una riunione a Palermo in favore del “sì” al referendum costituzionale del 4 dicembre, ha sfoderato una battuta corrosiva. Mentre compariva sullo schermo una immagine di D’Alema ha sparato: «Togliete quella foto, magari qui molti non hanno mangiato».

D’Alema, “rottamato”, non più deputato, senza nessun incarico istituzionale e nel Pd, adesso semplice iscritto al partito, è tra i principali esponenti delle minoranze interne in favore del ‘no’ al referendum. Di qui la lotta senza quartiere. Una parte delle sinistre del Pd, come le opposizioni, bocciano senza appello la revisione costituzionale soprattutto se sommata all’Italicum, la nuova legge elettorale maggioritaria per le elezioni politiche. Le accuse sono pesantissime: rischi di deriva autoritaria, di regime, di dittatura. D’Alema ha accusato: è una riforma sbagliata «perché riduce gli elementi di controllo democratico e, combinata con l’Italicum, trasforma il Parlamento nella falange di un capo».

Ha rincarato le accuse contro il premier-segretario: «C’è un clima di intimidazione avvertito da chi vuole votare ‘no’ al referendum»; in favore del ‘sì’ c’è «uno schieramento minaccioso da cui capita di subire insulti». Il presidente della Fondazione culturale Italianieuropei ha puntato il dito contro «una forte personalizzazione della politica e un’idea di partito personale» realizzati da Silvio Berlusconi; poi ha lanciato un’altra accusa sanguinosa contro Renzi: «È paradossale che tra i suoi allievi ci sia anche il leader del centro-sinistra».

Berlusconi, l’avversario storico della sinistra, il leader del centro-destra con il quale sia Renzi sia D’Alema hanno sottoscritto accordi per attuare le riforme istituzionali, è utilizzato dai due contendenti come l’uomo al quale l’altro si è arreso. Il “rottamatore” è andato giù pesantissimo. Il Cavaliere voterà ‘no’ al referendum: Berlusconi e D’Alema fanno la stessa scelta, “si amano”. Il presidente del Consiglio ha rilanciato: la riforma costituzionale serve a ridurre i costi della politica, a velocizzare il processo legislativo, a modernizzare le istituzioni, il premier non avrà maggiori poteri: «Se il referendum passa è finita la stagione degli inciuci», se vincerà il ‘no’ allora «non cambierà niente per i prossimi venti anni». Le accuse di dittatura? «Questa è una democrazia e metterla in discussione significa insultare l’Italia e non ve lo permettiamo».

Lo scontro tra due diverse visioni politiche si è allargato finanche agli aspetti personali. Il duello cominciò quasi tre anni fa, quando Renzi divenne presidente del Consiglio e segretario del Pd. Lanciò subito un appello alla discontinuità politica e generazionale. Furono “rottamati” vari dirigenti della “vecchia guardia” del partito come Romano Prodi, Walter Veltroni e D’Alema. Tuttavia sotto mira è finito soprattutto quest’ultimo, dirigente storico del Pci-Pds-Ds-Pd, per trent’anni uno dei principali esponenti della sinistra e del sistema politico italiano. D’Alema ha dato battaglia a tutto campo, ha sempre smentito ogni intenzione di realizzare una scissione, ma adesso lo scontro è arrivato a un bivio.

I prossimi appuntamenti sono il referendum e il congresso Pd dell’anno prossimo. D’Alema, come le sinistre del partito, ha detto basta al doppio incarico di presidente del Consiglio e di segretario. Renzi rischia di perdere tutto: se vincesse il ‘no’ al referendum (i sondaggi lo danno in vantaggio sul ‘sì’) a dicembre potrebbe essere disarcionato dalla guida del governo e al congresso alla fine del 2017 potrebbe dire addio anche alla segreteria del Pd. Se vincesse il ‘sì’, invece, potrebbe consacrare la sua egemonia sul Pd e sul sistema politico italiano. La partita è aperta. Prodi e Veltroni, gli altri due illustri “rottamati”, hanno lasciato la politica. L’ex presidente del Consiglio ed inventore del Pd tiene lezioni di economia nelle università russe e cinesi. Il primo segretario del Pd ed ex sindaco di Roma si è dedicato al giornalismo, scrivendo in particolare per ‘l’Unità’, il quotidiano del partito del quale fu direttore molti anni fa.

D’Alema sta conducendo la sua battaglia per il ‘no’ assieme a Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Gianni Cuperlo, le diverse anime delle minoranze democratiche. La lotta non solo è pro o contro le riforme strutturali del governo (istituzioni, lavoro, fisco, scuola, pubblica amministrazione), ma anche sull’identità di centro-sinistra del Pd. Le minoranze criticano una “deriva di centro” ma anche di “destra” del partito, Renzi vuole conquistare anche gli elettori delusi da Berlusconi e da Beppe Grillo per vincere le elezioni.

Si parla già dei possibili candidati alla segreteria in alternativa a Renzi. Lo scorso febbraio ha annunciato la sua intenzione di correre per la segreteria Enrico Rossi, presidente della regione Toscana. Tuttavia sotto traccia girano anche altri nomi: l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, l’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza, il commissario straordinario del governo per la ricostruzione delle zone terremotate del centro Italia Vasco Errani, il presidente della regione Puglia Michele Emiliano. Per ora l’unica candidatura ufficializzata, lanciata con grande anticipo, è quella di Enrico Rossi.


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