Riflessioni su un Paese fragile

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Il terremoto: questo nemico malvagio che ti coglie di sorpresa quando meno te l’aspetti.
Il terremoto: questa barbarie che talvolta sopraggiunge di notte, come successe all’Aquila il 6 aprile del 2009 e come purtroppo è accaduto anche oggi nel reatino, più o meno alla stessa ora, ormai ribattezzata l’ora maledetta, quando la terra inizia a tremare e una miriade di vite si sbriciola e si perde.
Il terremoto: paesi devastati o pressoché scomparsi, come nel caso di Amatrice e Accumoli, di Arquata del Tronto e di altri piccoli centri interessati da scosse meno violente rispetto a quella, terrificante, di magnitudo 6.0 che ha raso al suolo le zone situate nell’epicentro del sisma ma non meno dolorose per chi ha visto i ricordi di una vita svanire nell’arco di pochi istanti.
Il terremoto: breve e maledetto, capace di portar via in circa un minuto il capitale accumulato con fatica e impegno nel corso di decenni, suscitando uno choc psicologico dal quale è difficilissimo riprendersi.
Il terremoto: purtroppo consueto nel nostro Paese meraviglioso e fragile, ricchissimo di storia, specie nei borghi del centro Italia, quasi tutti di origine medievale, dunque costituiti da abitazioni caratteristiche, molto belle a vedersi quanto edificate con criteri pre-moderni e non in grado di reggere alle bizze di una natura impazzita, ma proprio per questo bisognoso di una cura e di un’attenzione che non sempre gli viene riservata.
Reggio Calabria e Messina nel 1908, il Belice nel ’68, il Friuli Venezia Giulia nel ’76, l’Irpinia nell’80, l’Umbria nel ’97, il Molise nel 2002, l’Abruzzo nel 2009, l’Emilia Romagna nel 2012 e ora il reatino; senza dimenticare le frane nel messinese, le esondazioni dei corsi d’acqua che bagnano Genova e le tragedie che hanno sconvolto Sarno e Quindici in Campania, il Piemonte e, più di recente, il vicentino e la Sardegna, a dimostrazione che non c’è un angolo della Penisola che possa dirsi al sicuro, trattandosi di un eco-sistema delicato e spesso caratterizzato da un’incuria e da una mancanza di rispetto tanto stupide quanto pericolose.
Il terremoto e le responsabilità da accertare, che sicuramente ci saranno e provocheranno dispute e polemiche politiche oggi assolutamente inopportune, come lasciano intendere le bellissime parole pronunciate da papa Francesco durante l’udienza del mercoledì e la nota del Quirinale in cui Mattarella invita tutti gli italiani a cooperare e a mostrarsi solidali con le vittime del disastro.
Il terremoto e un numero imprecisato di morti, purtroppo destinato a salire nelle prossime ore, al pari dei feriti e degli sfollati, man mano che verranno rimosse le macerie e si prenderà atto che i corpi rimasti sotto i detriti sono, come sempre, molti di più di quanto si immaginasse all’inizio.
Il terremoto e le macerie, per l’appunto: rimaste in mezzo alle strade dell’Aquila per anni e presenti ovunque nelle aree sconvolte dalle scosse di questa notte, con interi palazzi crollati, strade inagibili e viottoli di montagna nei quali è difficilissimo far giungere i soccorsi.
Il terremoto e la necessità di fermarsi, di restare in silenzio, di rompere la routine quotidiana, di bloccare le polemiche, di rimboccarsi le maniche e di evitare proclami retorici, più che mai stucchevoli, anzi direi insopportabili, per coloro che sotto quelle macerie hanno lasciato gli sforzi di una vita e, in alcuni casi, anche i propri affetti più cari.
Il terremoto e un senso di inadeguatezza collettivo che ci induce a interrogarci su quante volte ci perdiamo in chiacchiere inutili e interminabili discussioni sul nulla, quando poi bastano pochi secondi di impazzimento della terra per radere al suolo il nostro vaniloquio, le nostre effimere certezze e, con esse, le speranze e i sacrifici di quanti hanno lavorato sodo per conquistare un minimo di benessere e in un batter d’occhio si sono visti portare via tutto.
Il terremoto e la difficoltà, talvolta l’impossibilità, di ricominciare, di tornare alla normalità, di recarsi al lavoro o di portare i figli a scuola.
Il terremoto che spezza la quotidianità, infrange un universo di valori e ci lascia attoniti, prigionieri di un’incredulità che dovrebbe quanto meno consigliarci di rivedere la scala delle priorità e di accantonare dispute che non meritano alcuna attenzione.
Il terremoto e un infinito senso di vuoto e di debolezza: sentirsi dannatamente piccoli nel contesto di uno strazio di proporzioni indescrivibili.


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