Proteste per sequestro filmato Piazzapulita presso editore La7

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Aggirato il segreto professionale. Annullati gli accorgimenti per proteggere identità agente polizia che denuncia dotazioni anti-terrorismo non adeguate

Per scoprire l’identità dell’agente di polizia che, il 26 novembre 2015,  sotto garanzia dell’anonimato, ha denunciato in un programma televisivo la grave inadeguatezza delle armi e dei sistemi di protezione anti-terrorismo in dotazione alla polizia italiana, la Procura della Repubblica di Roma ha disposto il 12 gennaio 2016 il sequestro giudiziario di un filmato video contenente il servizio del giornalista Antonino Monteleone dalla rete La7 all’interno del programma televisivo di cronaca Piazzapulita.

L’iniziativa ha suscitato forti proteste da parte di giornalisti e avvocati perché la decisione di sequestrare il video originale presso l’emittente televisiva, rivolgendo la richiesta all’editore, e non al giornalista, ha permesso di eludere le norme sul segreto professionale dei giornalisti e sul loro diritto di non rivelare l’identità delle fonti fiduciarie delle notizie.

Il video mostra un agente di polizia, ripreso in modo da renderlo non identificabile. L’agente indica una serie di inadeguatezze dell’equipaggiamento di sicurezza che ha in dotazione: casco, giubbotto antiproiettile, armi.

La redazione di Piazzapulita ha precisato che il servizio era andato in onda “con le cautele necessarie ad impedirne l’identificazione (dell’agente, ndr). La Procura però ha disposto il sequestro del filmato integrale, privo di quegli accorgimenti”.

L’ordine di sequestro è stato rivolto alla proprietà di La7, che non poteva esimersi dal consegnare quanto in suo possesso. Se la richiesta fosse stata rivolta all’autore, egli in quanto giornalista avrebbe potuto opporre il segreto professionale a tutela della sua fonte fiduciaria di informazione, previsto dall’ordinamento giuridico.

L’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha definito l’accaduto un “modo furbo per aggirare ostacoli” giuridici e legislativi e identificare il poliziotto. “E’ sorprendente che a questi mezzi ricorrano strumentalmente dei magistrati. Ed è opportuno che il Consiglio Superiore della Magistratura si interroghi su comportamenti come questi”, si legge nel comunicato a firma dell’Odg.

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana chiederà un incontro con il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli.  Il segretario della FNSI, Raffaele Lorusso e il presidente, Giuseppe Giulietti, hanno assicurato che solleveranno il caso in tutte le sedi opportune “affinché quanto accaduto non si ripeta più e soprattutto non possa essere considerato un ‘grimaldello’ da utilizzare per aggirare e vanificare il segreto professionale dei giornalisti”.

La redazione di Piazzapulita – ”Questo metodo di aggiramento del segreto professionale è gravissimo e mette a rischio il libero esercizio della nostra professione, oltre che le fonti che decidono di dare notizie proprio perché tutelate dal segreto. Tali iniziative – ricorda la redazione di Piazzapulita – sono sanzionate dalla Corte di Strasburgo e dichiarate illegittime dalla Corte di Cassazione”.

L’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI) ha condannato  il sequestro del filmato definendolo “un espediente per aggirare i rispetto del segreto professionale e della tutela delle fonti (…). Il segreto professionale e la tutela delle fonti dei giornalisti sono sacri, come dovrebbero esserlo le conversazioni tra avvocato e il proprio assistito”.

Cosa prevede la legge

In base all’articolo 200 del codice di procedura penale, in Italia i giornalisti professionisti possono opporre il segreto professionale alla richiesta di un giudice di conoscere la fonte fiduciaria delle loro notizie. Possono farlo con alcune limitazioni: “se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni”.

La legge 69, quella che nel 1963 ha istituito l’Ordine dei Giornalisti, all’articolo 2 stabilisce un obbligo per giornalisti ed editori a osservare tale segreto. Afferma: “Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”. I giornalisti che non osservano questo dovere deontologico incorrono nelle sanzioni disciplinari previste dall’articolo 51 della stessa legge per la loro categoria . Invece per gli editori non esistono organismi preposti a vigilare su queste inosservanze né sono previste sanzioni.

Cosa si vede nel servizio televisivo

Nella puntata di Piazzapulita trasmessa da La7 il 26 novembre 2015, dedicata all’allarme sicurezza dopo gli attentati a Parigi e in vista del Giubileo a Roma, il conduttore Riccardo Formigli accenna all’inadeguatezza delle armi e dei sistemi di protezione in dotazione alle forze di polizia in Italia. Formigli ricorda le polemiche sorte già all’indomani degli attentati in Francia e lancia un servizio per approfondire l’argomento.

L’autore del servizio, il giornalista Antonino Monteleone, intervista un poliziotto, senza mostrane il volto e facendo ascoltare la sua voce contraffatta in modo da renderla non identificabile. L’agente mostra alle telecamere l’attrezzatura che ha in dotazione. Fa vedere il casco e dice che è quello ordinario assegnato per svolgere compiti “di ordine pubblico”, non è adeguato per fronteggiare un attacco di terroristi armati. Mostra il mitra M12 e dice che queste armi sono obsolete. Fa vedere che il giubbotto antiproiettile ha un’etichetta: fabbricato nel 2005 garantisce protezione balistica fino a 2015, quindi ancora per un mese. Sostiene che affrontare un’operazione indossando quel tipo di protezione sarebbe “un suicidio”. Dice: “Io so già – aggiunge – che se devo intervenire in caso di emergenza, perdo in partenza”. L’intervista si conclude con l’affermazione dell’agente: “A Parigi saremmo morti”.

Nella seconda parte del video, Monteleone intervista Martino Farneti, ex funzionario di Polizia ed esperto balistico, che dà dimostrazione pratica dell’inefficacia protettiva dei giubbotti in dotazione alla Polizia: mostra che non resistono ai colpi esplosi da un Kalashnikov (arma usata a Parigi dai terroristi). Farneti conclude consigliando agli agenti di mettersi al riparo in un posto veramente sicuro che non può essere l’automobile, la quale non sopporterebbe l’impatto di più di due colpi.

COA RDM

Da ossigenoinformazione


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