Maternità surrogata: si o no?

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GiULiA ha aderito all’appello “Che libertà” (lanciato in Italia da Snoq libere), per la messa al bando di questa pratica in Europa. Ma non tutte sono d’accordo.
Il direttivo di GiULiA ha aderito – con una larga maggioranza di consensi – all’appello “Che libertà” contro la pratica dell’utero in affitto, tema dettato da un’agenda internazionale e rilanciato in Italia da Snoq Libere (e al quale hanno aderito intellettuali, esponenti del mondo della cultura e della politica), perché ritiene che il diritto alla maternità consapevole sia e resti uno dei diritti primari di tutte le donne, e che questo non confligga con la discussione in corso sulla legge per unioni civili.
Alcune colleghe – del direttivo e tra le associate – si sono dissociate da questa decisione e hanno motivato in modo articolato la loro posizione.
Pubblichiamo entrambi i documenti:APPELLO CHE LIBERTÀ

Noi rifiutiamo di considerare la “maternità surrogata” un atto di libertà o di amore.
In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: “committenti” italiani possono trovare in altri paesi una donna che “porti” un figlio per loro. Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato. Vogliamo che la maternità surrogata sia messa al bando.

Oggi, per la prima volta nella storia, la maternità incontra la libertà. Si può scegliere di essere o non essere madri. La maternità, scelta e non subìta, apre a un’idea più ricca della libertà e della stessa umanità: il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce.

Siamo favorevoli al pieno riconoscimento dei diritti civili per lesbiche e gay, ma diciamo a tutti, anche agli eterosessuali: il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo.

CI APPELLIAMO ALL’EUROPA

Nessun essere umano può essere ridotto a mezzo. Noi guardiamo al mondo e all’umanità ispirandoci a questo principio fondativo della civiltà europea. Facciamo appello alle istituzioni europee – Parlamento, Commissione e Consiglio – affinchè la pratica della maternità surrogata venga dichiarata illegale in Europa e sia messa al bando a livello globale.

Qui di seguito il documento delle colleghe di GiULiA che si sono dissociate:

IL DOCUMENTO DI DISSOCIAZIONE

Gi.U.Li.A ha aderito all’appello di Snoq Libere contro la “maternità surrogata”. Vogliamo spiegare come e perché ci siamo dissociate da questa adesione.
Sappiamo che In Italia la Gpa (Gestazione per altri) è vietata, non è in discussione in Parlamento e neppure in quello europeo. Perché, allora, tanta fretta? L’unica scadenza nota è il 2 febbraio quando la Camera francese ospiterà il convegno indetto da un gruppo di femministe che si sono schierate contro la Gpa. Inoltre dal fronte Lgbti era stato segnalato esplicitamente il rischio che l’appello di Snoq Libere, al di là delle intenzioni, potesse nuocere alla legge Cirinnà sulle unioni civili, che stava finalmente, dopo anni, per approdare in Senato.

La Gpa riguarda oggi per l’80% le coppie eterosessuali, ma la stepchild adoption (che è uno dei punti discussi della nuova legge Cirinnà) ha scatenato una parte conservatrice del mondo cattolico e non solo, che vede nell’accettazione di questa pratica l’anticamera della Gpa anche per le coppie omogenitoriali. Il compiacimento di Gasparri per l’appello di Snoq conferma che il rischio di essere strumentalizzate era reale. Possiamo anche infischiarcene, ma perché non dare ascolto e solidarietà a chi sta lottando da anni per i propri diritti? Era così fondamentale dire la nostra opinione, anzi, andare dietro all’opinione di altre, proprio il 6 dicembre?

Il fatto che noi manteniamo un atteggiamento critico ma aperto alla riflessione verso la “maternità surrogata” – essendo perfettamente consapevoli dei casi di sfruttamento delle donne povere del pianeta da parte del mondo ricco – non significa automaticamente chiederne il divieto in modo peraltro piuttosto sbrigativo. Esistono legislazioni differenti più rispettose nei confronti delle “portatrici”, ad esempio quella inglese che consente loro il ripensamento e la possibilità di tenere il bebè; esistono storie documentate di donne che rivendicano di aver fatto questa scelta con consapevolezza e che sono rimaste in relazione con le bambine/i bambini nati da loro e con le coppie omogenitoriali.

Con quale diritto decretiamo che la maternità solidale non esiste? Possiamo davvero parlare a nome di altre donne che dicono il contrario? L’appello per la messa al bando della Gpa presuppone implicitamente che tutte le donne che gestiscono la gravidanza per altri facciano lo stesso tipo di scelta, a partire dalle stesse condizioni. Presuppone che non ci sia agency da parte loro (ma sappiamo che tutte le scelte sono sempre condizionate dal contesto), le equipara tutte a vittime. Parla in nome della donna come di un’entità astratta, misconoscendo le differenze (tra le donne) e i vissuti. Il femminismo ha sempre rispettato le libertà individuali. Quando ci battevamo per l’aborto regolamentato, abbiamo avuto alleate che mai avrebbero abortito e ciononostante abbiamo convissuto nelle differenze, sapendo che l’aborto non è un diritto (come forse non lo è l’avere dei figli ad ogni costo), ma che è diritto di ogni donna scegliere quando e se essere madre.

C’è infine un questione di metodo. Noi riteniamo che la delega agli organi di governo di GiULiA, nell’ambito di un sistema di democrazia rappresentativa come il nostro, debba essere esercitata sui temi che ci riguardano come categoria, non sui temi etici che interpellano la società intera. Per questi ultimi crediamo che sia opportuno astenersi (dall’adesione ad appelli altrui) oppure coinvolgere l’assemblea. Un tema così complesso, intimo, delicato che da anni fa discutere tanti e soprattutto i diversi movimenti delle donne e le singole, difficilmente può essere risolto in pochi giorni. Come giornaliste poi il nostro primo compito è quello di raccontare: avremmo potuto raccogliere le opinioni delle tante parti in causa e, come GiULiA, diventare un luogo accogliente del dibattito in corso.
Crediamo comunque che questa esperienza possa essere fonte non di lacerazioni ma di crescita per la nostra associazione.

Silvia Neonato, Giovanna Pezzuoli e Luisella Seveso (del direttivo di GiULiA)
Barbara Bonomi Romagnoli, Camilla Gaiaschi, Cristina Obber (socie di GiULiA)


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