L’invisibile dominio della cleptocrazia italiana

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Di Alberto Vannucci (*)

Leggere i segnali che affiorano dall’ universo della corruzione italiana porta alla conclusione che il totale è più della somma delle parti. Nella sfera pubblica non mancano indicatori di crisi occasionali e temporanei assestamenti verso nuovi equilibri all’interno di questa arena occulta, dove in un’atmosfera d’impunità un’oligarchia corrotta e corruttrice pratica il sistematico saccheggio di risorse comuni: le voragini nei bilanci pubblici, i ricorrenti disastri ambientali, il consumo dissennato del territorio, il degrado di opere e servizi pubblici non ne sono che alcuni tra gli indizi. Spesso realizzati “a norma di legge”, visto che di norme e regolamenti questa élite corrotta può condizionare contenuti, interpretazioni, rigore nel controllo e nell’applicazione.

Procediamo in ordine sparso. In un convegno si discute del rapporto Onu sull’applicazione della convenzione Onu in Italia nel quinquennio 2009-2013 e di altri indicatori “oggettivi”, in particolare quello della Banca Mondiale sul controllo della corruzione – che censisce quali provvedimenti siano stati introdotti da nostro ordinamento. Ebbene, l’Italia è riuscita a peggiorare la propria posizione, in un trend negativo che neppure una legge 2012,  autodefinitasi “anticorruzione”, è riuscita a invertire.  Il commento del governatore della Banca d’Italia Visco si sofferma piuttosto sul “quadro nel complesso positivo” del rapporto Onu, sottolineando il rischio che gli indicatori di corruzione fondati su percezioni pessimistiche scoraggino gli investimenti internazionali e la bontà dei nuovi provvedimenti già approvati o in cantiere. Intanto si rinvia a tempi migliori il rafforzamento dell’Autorità anticorruzione, mentre le nuove disposizioni sul falso in bilancio favoriscono chi trucca i conti come neppure il governo Berlusconi era riuscito a fare, e della quasi totalità dei provvedimenti invocati dagli osservatori Onu non v’è traccia nell’agenda di governo. Le politiche anticorruzione, in altre parole, sembrano conformarsi allo spirito dei tempi: occorre soprattutto “asfaltare” il pessimismo di “gufi e rosiconi”, pane quotidiano dei nemici dell’Italia: basta un poco di zucchero e la pillola della corruzione va giù.

Ma a volte queste pillole risultano particolarmente indigeste, specie se trangugiate in rapida successione. A Napoli secondo gli inquirenti un giro di tangenti coinvolge un’associazione a delinquere di 17 amministratori e imprenditori che fornivano pasti alle mense scolastiche: naturalmente era cibo scadente e spesso scaduto, tanto da causare occasionali intossicazioni alimentari. Non era ai bambini napoletani che pensava Papa Bergoglio nel denunciare il “pane sporco” della corruzione, un male a suo giudizio peggiore persino del peccato, ma in Italia  purtroppo talvolta la realtà supera la metafora. Intanto a Milano nelle abitazioni di funzionari ed ex-dirigenti comunali arrestati per corruzione e associazione a delinquere saltano fuori 32 lingotti d’oro da un chilo l’uno e 2 milioni di euro in contanti e preziosi, un “tesoretto” che consente almeno di osservare come la razzia di decine di miliardi di presunto “costo della corruzione” finisca per cristallizzarsi nell’opulenza alla Paperon de’ Paperoni di pochi privilegiati.

Fermiamoci infine in Toscana, regione di solide e “rosse” tradizioni civiche. A Pisa un decreto di perquisizione della direzione antimafia raffigura il costruttore che da un paio di decenni fa il bello e cattivo tempo in città e dintorni come principale artefice e beneficiario di una rete di favori e ricatti incrociati in cui banchieri, amministratori, politici, faccendieri, massoni e giornalisti “a libro paga” si ponevano al servizio delle esigenze di riciclaggio nei circuiti dell’edilizia pubblica e alberghiera dei capitali provenienti dal latitante boss trapanese Matteo Messina Denaro, oltre ad accaparrarsi un po’ di prestiti bancari in operazioni e speculazioni ad alto tasso d’opacità. Intanto a Firenze tre dirigenti Anas e un imprenditore vengono arrestati e un’altra ventina inquisiti per un giro pluriennale di mazzette. E qui grazie alle intercettazioni – prima che con la nuova legge in corso d’approvazione vi si metta la sordina – il sistema di governo parallelo istituito dall’italica corruzione si palesa in tutta la sua granitica stabilità. A raccontarcelo sono i protagonisti: 5 per cento sul valore degli appalti è il prezzo da pagare, inderogabilmente. Perché “sono tutti corrotti e corruttibili”. In questo mondo – “un mondo particolare, il nostro” –  senza corrompere non si fa strada. “L’hai capita o no? Io lo faccio. Mi vergogno? No vaffanculo, lo fanno tutti e io devo lavorare”. In fondo, osserva uno dei partecipanti al gioco: “E’ un mondo di scale di corruzione”.  Ai diversi livelli ciò che cambia è solo lo spessore degli interlocutori, il giro d’affari, e di conseguenza il fatturato criminale.

Proviamo a immaginare l’ascesa su queste “scale di corruzione” fino ai piani più alti. “Corrompere”  il nostro sistema di governo significa replicare e perfezionare in ogni centro di potere gli ingredienti base della corruzione sistemica. Cosa c’è di meglio di una verticalizzazione personalistica e di un’accelerazione in chiave decisionista delle politiche e delle scelte di governo, sciolte dai residui controlli politici e istituzionali – i parlamentari nominati, le opposizioni inermi o conniventi, i media sotto tutela, i poteri neutri (Corte costituzionale, Presidente della Repubblica, magistratura) ricondotti all’ordine o messi (finalmente) al guinzaglio? E’ un progetto ricorrente, formalizzato già nel piano di rinascita democratica di piduista memoria e ora matrice ideale del disegno di riforma costituzionale targato Boschi.  Si possono comprendere le preoccupazioni di una potenziale “svolta autoritaria”, già denunciata in più sedi. Eppure, più banalmente, si coglie in questo quadro una piena coerenza con quel grumo di interessi opachi che accomuna ampi e trasversali segmenti della nostra classe dirigente verso un obiettivo condiviso: estendere il proprio invisibile dominio cleptocratico, rendendo più efficiente e sicura l’appropriazione congiunta della smisurata rendita della corruzione.

(*) Alberto Vannucci è Presidente di Libertà e Giustizia


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