Il muro “demografico” di Netanyahu

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Revocare la residenza a Gerusalemme a circa 80.000 palestinesi del versante cisgiordano: più controllo sulla città con meno abitanti arabi

Articolo di: Michele Giorgio, Il Manifesto

Il Muro israe­liano in Cisgior­da­nia e intorno a Geru­sa­lemme Est è cono­sciuto con nomi diversi. È una «Bar­riera di sicu­rezza» per Israele, un «Muro dell’apartheid» per i pale­sti­nesi e gli atti­vi­sti inter­na­zio­nali. Ora occorre chia­marlo anche «Muro della demo­gra­fia». L’altro giorno il primo mini­stro Neta­nyahu ha rife­rito che intende valu­tare la revoca della resi­denza a Geru­sa­lemme a quei pale­sti­nesi, circa 80.000, che pur vivendo nei con­fini muni­ci­pali della città hanno le loro case alle spalle del Muro, ossia sul ver­sante cisgior­dano. Un annun­cio che dimo­stra una volta di più che la fina­lità prin­ci­pale della bar­riera non è garan­tire la sicu­rezza e impe­dire atten­tati, come affer­mano da 13 anni le auto­rità israe­liane, bensì quella di rag­giun­gere obiet­tivi poli­tici, demo­gra­fici e ter­ri­to­riali. Si punta in que­sto caso a rea­liz­zare una Geru­sa­lemme Est, la zona araba occu­pata nel 1967, sotto il con­trollo totale di Israele ma con un numero sen­si­bil­mente ridotto di abi­tanti pale­sti­nesi (ora circa 300mila).

Le aree che più di altre potreb­bero essere inte­res­sate dalle con­se­guenze del «Muro della demo­gra­fia» sono il campo pro­fu­ghi di Shua­fat e il sob­borgo di Kufr Aqab a nord e a est di Geru­sa­lemme. Sono a rischio però altri villaggi-quartieri arabi a sud della città, come Jabel Muka­ber, Sur Baher e Umm Tuba. Pur non tro­van­dosi oltre la bar­riera di cemento, potreb­bero un giorno avere davanti seg­menti di cemento armato alti diversi metri come è acca­duto, ad esem­pio, al sob­borgo di Abu Dis che dista un paio di chi­lo­me­tri dal cen­tro di Geru­sa­lemme. Jabel al Muka­ber da tre set­ti­mane è sulle prime pagine dei gior­nali dipinto come la «base di lan­cio» della «Inti­fada dei col­telli» e la scorsa set­ti­mana la poli­zia aveva eretto una «bar­riera tem­po­ra­nea» per sepa­rarlo dalla colo­nia ebraica (quar­tiere per gli israe­liani) di Armon HaNe­tsiv. Bar­riera subito rimossa per le pro­te­ste della destra ultra­na­zio­na­li­sta timo­rosa che le misure di sicu­rezza decise dal primo mini­stro fini­scano per con­fer­mare quello che è già davanti agli occhi di tutti: nono­stante l’annessione uni­la­te­rale a Israele del set­tore orien­tale, Geru­sa­lemme era è resta una città divisa.

Il caso di Shuaf­fat e di Kufr Aqab è diverso per­chè davanti a que­sti due cen­tri abi­tati il Muro non è stato eretto per caso. Da tempo, come rife­rito in diverse occa­sioni dal quo­ti­diano Haa­retz, si parla di una loro «ces­sione» all’Anp di Abu Mazen. A Kufr Aqab e di fatto anche nel campo di Shuaf­fat, il comune di Geru­sa­lemme da anni non garan­ti­sce ser­vizi, sani­tari e sociali, ai pale­sti­nesi che pure in tasca hanno la carta di iden­tità rila­sciata da Israele. In quelle zone già inter­viene l’Esercito e non più la polizia.

Neta­nyahu farebbe a meno molto volen­tieri della pre­senza di quei pale­sti­nesi ma si trova a dover com­bat­tere con­tro la destra più estrema, anche nel suo par­tito (Likud), che denun­cia il «ten­ta­tivo di divi­dere Geru­sa­lemme» e lo accusa «di aver tra­dito la pro­messa elet­to­rale» di tenere tutta la città, anche il set­tore arabo, sotto l’esclusivo con­trollo di Israele. Il depu­tato Israel Katz ha sol­le­vato il tema dei “quar­tieri arabi” al di là del muro rico­no­scendo che sono zone ormai abban­do­nate. «Tut­ta­via è una deci­sione di ampia por­tata, che richiede un refe­ren­dum (tra gli israe­liani, ndr), per­ché com­por­te­rebbe rinun­ciare a dei ter­ri­tori», ha osser­vato tra­la­sciando il det­ta­glio non insi­gni­fi­cante che quelle aree per il diritto inter­na­zio­nale non sono parte di Israele ma dei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati nel 1967.

Meir Mar­ga­lit, uno sto­rico atti­vi­sta con­tro la demo­li­zione delle case pale­sti­nesi a Geru­sa­lemme, con­si­dera la mossa di Neta­nyahu «solo una tro­vata poli­tica volta per sod­di­sfare l’opinione pub­blica israe­liana». «Da un punto di vista giu­ri­dico sarebbe un’impresa enorme revo­care la resi­denza a tanti abi­tanti (pale­sti­nesi), senza dimen­ti­care anche le rea­zioni inter­na­zio­nali» dice al mani­fe­sto. «Tut­ta­via le leggi si pos­sono cam­biare – aggiunge — e nel clima attuale è sag­gio non dare nulla per scon­tato. L’unica cosa certa è che se Neta­nyahu e il suo governo deci­de­ranno di andare avanti con il pro­getto, le con­se­guenze sociali e umane per i pale­sti­nesi saranno devastanti».

Da perlapace


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