Ingrao, il rigore del dissenso, la capacità di resistere ad ogni tentazione compromissoria

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Pietro Ingrao è morto due volte. Per un verso, infatti, è scomparsa una figura straordinaria: nella sinistra italiana e internazionale, nella cultura, nella creatività, nello spessore umano. Ma, per un altro, la terribile notizia ci ha sorpresi (e sì, perché pur malandato sembrava immortale) nel bel mezzo di una crisi etica e morale della politica, cui si contrapponeva nel nostro immaginario proprio la presenza di Ingrao. Da tempo, purtroppo, rarefatta nella fisicità, tuttavia fortissima nella capacità mobilitante e di tenere viva la speranza di un’altra via. Quella di una politica vissuta in modo non politicante né come un affare di e per pochi. Al contrario, una Politica innervata nella e sulla società, fatta di partecipazione attiva e reale. Insomma, l’esatto opposto della degenerazione attuale, dove carrierismo e rincorsa delle postazioni di comando (se non peggio) hanno contaminato enormemente la sfera pubblica. “Masse e potere” si intitola il fondamentale libro del 1977, che è il tentativo di dare una versione nuova, originale e affascinante del ruolo delle persone e delle comunità, immaginando uno Stato democratico nel senso profondo del termine. Né populismi demagogici, né inflessioni tecnocratiche, bensì una democrazia davvero compiuta e la piena applicazione della Carta costituzionale. Un pensiero di un’attualità formidabile, tanto che il conclamato “ingraismo” è stato ed è un’idea un’idea permanente e non una corrente di partito. Ecco perché ci viene a mancare un maestro insostituibile. Ed ecco perché è una rottura.

Non si confonda l’elogio (giusto) della passione del grande dirigente comunista italiano con una sorta di atteggiamento impulsivo. Niente affatto. La straordinaria capacità retorica ha popolarizzato un pensiero finissimo e strutturatissimo nella teoria. Il meglio della cultura critica, che troverà numerosissimi proseliti nei mondi della militanza diffusa e rimarrà –invece- minoranza nel Partito. Il rigore del dissenso, la capacità di resistere ad ogni tentazione compromissoria sono stati la cifra di una personalità unica. Negli anni sessanta Ingrao colse prima di tutti le mutazioni del modello capitalistico e si contrappose al tradizionale giudizio sull’arretratezza italiana, che supponeva di inseguire come formula magica una modernità quasi acritica. Non si piegò alla svolta del 1989, in cui fu confusa l’urgenza di separare le sorti della sinistra italiana dal disfacimento del “socialismo reale” con un’improvvisata folgorazione liberale. Ma ci ammonì che bisognava stare nel “gorgo”, almeno fino a quando fosse stato possibile. Insomma, in minoranza, ma non minoritari. Uno spirito profondamente libero, non assimilabile alla tendenza al conformismo che alberga nella fisiologia dell’organizzazione di massa. Per non dire del clima persino inquietante di questi ultimi anni. E una mente aperta, capace di emozionarsi e di parlare con incredibile maestria di Charlie Chaplin, ad esempio. Il cinema e la poesia sono stati una componente politica della sua lunga e bella vita nella politica.

Attentissimo ai problemi dell’informazione –direttore de l’Unità per dieci anni- fu tra i pochi a cogliere i rischi dei nuovi poteri dei media, a cavallo tra gli ottanta e i novanta, quando arrivò Silvio Berlusconi. Per la pace, per la dignità del lavoro, per il valore dell’impegno intellettuale, per le relazioni solidali. Per innovare senza perdere la memoria. Sono alcuni dei caratteri di una Storia formidabile, raccontata con cura nei mesi scorsi in occasione del centenario.

La camera ardente si terrà presso la Camera dei deputati, presieduta da Ingrao in modo impeccabile tra il 1976 e il 1979. A dimostrazione che l’essere di sinistra non significa omologarsi quando si entra in qualche stanza dei bottoni. Anzi.


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