Amore e disperazione. La Bohème di Puccini alle Terme di Caracalla

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“Che gelida manina, se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna è una notte di luna,
e qui la luna l’abbiamo vicina”.

Una luna immensa che aveva il sapore del rimpianto poetico, di perduta purezza, di rivolta e di squisita bellezza ha illuminato La Bohème di Puccini alle Terme di Caracalla, con regia, scene e costumi, di Davide Livermore, orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma, Maestro Paolo Arrivabeni in collaborazione con il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia.

Nella Parigi di fine ottocento che Puccini musica, le vite dei protagonisti della sua opera si fondono con le tele degli impressionisti francesi, in una mescolanza meravigliosa di amore e disperazione, di reale e ideale: “Mi piaccion quelle cose che han si dolce malia, che parlano d’amor, di primavere, che parlano di sogni e di chimere”
Mimì illuminata dal fremito delle stelle di Van Gogh e dalle pennellate misteriose di Cezanne racconta allo spettatore il suo bisogno di impossibile: l’amore per Rodolfo.

Mentre seducenti ballerine di Degas, trampolieri, sputafuoco e giocolieri accompagnano l’incontro del pittore Marcello con Musetta, civettuola e incantatrice, al Café Momus nel quartiere latino di Parigi e aprono agli occhi di chi guarda la via al coraggio, alle illusioni e ai sogni: “O bella età d’inganni e d’utopie!
Si crede, spera, e tutto bello appare!”

La “Barriera d’Enfer”, la porta doganale dove chi passa subisce il controllo della merce, illuminata da una neve che magicamente sfiora lo spettatore è il luogo delle rivelazioni, della malattia e dell’innocenza.
Mimì nella soffitta gelida diventerà un perduto amore per Rodolfo ma le sublimi eroine Pucciniane restano nella loro malinconica fragilità donne reali capaci di tenere tra le dita un destino segnato senza perdere mai la speranza: “vorrei che eterno durasse il verno… ci lasceremo alla stagion dei fior”


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