L’Europa muore a Ventimiglia

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Li abbiamo visti sugli scogli, stanchi, fradici, disperati, dopo averli visti in mare e nel deserto, dopo aver immaginato le tragedie e le sofferenze dalle quali hanno fatto il possibile per fuggire. Già, ma questo sforzo d’immaginazione lo abbiamo compiuto noi e pochi altri, non certo i presidenti delle regioni del Nord che si sono messi a fare campagna elettorale sulle quote dei migranti da accogliere né, meno che mai, il governo e la gendarmeria francese, capaci di sospendere, di fatto, gli accordi di Schengen e di abbandonare questi poveri cristi al proprio destino.

Hollande e Valls, la sedicente sinistra: in realtà, stiamo parlando di due inetti che, da anni, non avendo uno straccio di proposta politica credibile da presentare agli elettori, inseguono disperatamente la destra sul proprio terreno, finendo non solo col legittimare madame Le Pen e il redivivo Sarkozy ma anche col disgustare gran parte della storica base socialista, la quale non può e non potrà mai accettare questa deriva liberista in campo economico e ultra-nazionalista sul terreno, non meno importante, dei diritti sociali e civili.

Un esecutivo che si commenta da solo: questa è la guida della Francia, un tempo nazione repubblicana e accogliente, in grado di trasformare l’immigrazione in una ricchezza e di valorizzarla al punto di potersi vantare nel mondo per i successi della propria Nazionale multietnica; oggi ricettacolo di odi e paure, esclusioni e intolleranze, teatro di una guerra civile strisciante e di un malessere collettivo sempre sul punto di esplodere, come una pentola in ebollizione il cui coperchio sta per saltare.

L’avevamo lasciata a gennaio per le vie di Parigi, la “nostra” Francia che rivendicava Voltaire e si apriva al mondo, condannando gli attentatori ma rivolgendo, al tempo stesso, uno sguardo profondo dentro di sé, nel tentativo di comprendere i propri errori e di ripartire. L’avevamo lasciata invasa dai tricolori e da messaggi d’affetto nei confronti delle vittime di quella barbarie; l’avevamo vista nuovamente forte, unita, solidale, al punto che eravamo arrivati persino a rivalutare il duo Hollande-Valls e a concedergli una seconda possibilità. Illusioni! Appena svanita l’eco della strage, i due hanno proseguito imperterriti lungo il percorso intrapreso, fatto di chiusure, grettezza, rivendicazioni nazionaliste che neanche il Le Pen padre dei tempi d’oro, atteggiamenti sgarbati e fuori luogo nei confronti dell’Europa, mancate assunzioni di responsabilità e populismo spicciolo, fino alla vergogna epocale dei disperati abbandonati sugli scogli di Ventimiglia come se si trattasse di rifiuti e non di esseri umani con tanto, troppo dolore alle spalle per arrendersi.

Perché la verità è che ogni volta che un barcone affonda, che un gommone viene speronato da una nave, che una frontiera si chiude e un centro di accoglienza si trasforma in un lager, ogni volta che qualche farabutto specula indegnamente sulla disperazione e sull’impossibilità di difendersi degli ultimi, ogni volta che una periferia si trasforma in una discarica umana, in cui alla miseria di casa nostra se ne aggiunge un’altra ancora più straziante, ogni volta che uno stato viene meno ai propri doveri e si lancia all’inseguimento della propaganda cialtrona delle sue forze peggiori, ogni volta che accade tutto questo, a morire, a soffrire e a perdersi non sono solo i migranti: siamo soprattutto noi. Noi occidentali che guardiamo il prossimo dall’alto in basso, con una superbia che non possiamo più permetterci; noi europei che votiamo per partiti che ci stanno conducendo sull’orlo del baratro e della disgregazione del sogno di Spinelli; noi italiani, intrisi di un insostenibile razzismo, dimentichi del nostro passato migrante, delle sofferenze dei nostri antenati, della tragedia di Sacco e Vanzetti e anche delle belle parole dedicate all’argomento dal presidente Ciampi; per dirla con lo storico francese Bernanos, noi che siamo morti tanti volti nell’illusione di poterci rigenerare e sembrare moderni siamo i veri sconfitti di quest’interminabile serie di mattanze che sta tingendo di rosso le onde e le scogliere, i tragitti di terra, i fiumi, i laghi, i sentieri e i percorsi, insomma tutti i luoghi di un esodo infinito e senza requie nel quale un’umanità sconfitta cerca semplicemente un brandello di futuro.

E l’unico ad averlo capito, ancora una volta, è papa Francesco: l’unico che, a proposito dei migranti, ha parlato di “fratelli”, l’unico che ha compiuto un richiamo nobile al principio di solidarietà che dovrebbe sempre caratterizzare il Vecchio Continente, l’unico ad essersi spinto oltre il confine dell’ipocrisia e ad aver chiesto scusa per la nostra colpevole e assassina indifferenza.

Tutti gli altri, come sempre, tacciono, in attesa dei risultati elettorali, dei voti dei disgraziati locali, dei consensi effimeri nei confronti di governi per i quali ogni commento sarebbe superfluo, finché le periferie non esplodono comunque e la magistratura non scoperchia gli interessi maleodoranti del “mondo di mezzo”, delle cricche e dei signori del malaffare che ormai non sono più in rapporti stretti con la politica: semplicemente la determinano.

A Ventimiglia come a Lampedusa, alla frontiera del Brennero come al confine fra Grecia e Turchia, nel silenzio colpevole dei miti e nelle urla sguaiate dei populisti, abbiamo visto morire l’Europa e risorgere dalle ceneri di un passato tutt’altro che edificante quel mostro chiamato razzismo che credevamo di aver consegnato per sempre alla storia e, invece, è vivo e vegeto, ben incarnato da classi dirigenti inadeguate e da opinioni pubbliche inacidite, stremate a causa di una crisi che le prime non riescono a risolvere e, anzi, aggravano ogni giorno di più.

Addio Europa, speranza nobile e incompiuta.


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