Le recenti dichiarazioni del pentito Grado su Mangano (e non solo)

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In questo mese di giugno caratterizzato nella penisola da un fastidioso caldo umido che, ad ascoltare gli autisti di taxi, riprodurrebbe non solo il clima semitropicale della Thailandia ma anche quello che si ebbe già in Italia lo scorso anno (e che chi scrive-confesso-non ricorda affatto), sta deponendo nell’ormai lungo processo  che si tiene nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo  sulla trattativa tra Mafia e Stato, il pentito di mafia Gaetano Grado che ha da raccontare particolari interessanti su quel Vittorio Mangano, a suo tempo definito da Silvio Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, e dall’ex senatore Marcello Dell’Utri, ora detenuto nel carcere di Parma ,”un eroe del nostro tempo”.

E ha narrato, tra l’altro, che “negli anni Settanta portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di Cosa Nostra che Mangano consegnava a Marcello Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due”.

“I soldi erano talmente tanti che non si sapeva più quanto fossero. Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano. Questa me la disse Vittorio Mangano. Non si parla solo di alcuni miliardi ma di svariati miliardi… L’ho allevato io Vittorio Mangano. L’ho conosciuto intorno al ’69 ,era un poveraccio, un nulla tenente sposato con due figlie. Me lo sono messo vicino, l’ho aiutato, di tanto in tanto mi facevo accompagnare in macchina a Milano a trovare mio fratello. Quando tornavamo gli davo 1,5 milioni di lire. Si era attaccato molto a me. Lui commerciava in bestiame. Fu Girolamo Guddo a presentandomelo, insieme con Giovanni Lo Cascio… Mangano non era uomo d’onore all’epoca, lo è diventato dopo aver conosciuto me. Era una persona scaltra, aveva capito che ero un uomo d’onore. Quando andavo in giro, molta gente mi vedeva e mi faceva festa. Si era avvicinato nella speranza che venisse messo in famiglia. Poi diventò compare di mio fratello Antonino. Poi ho saputo che era andato a lavorare nella villa di Berlusconi come stalliere, tramite Gaetano Cinà che era compare di mio fratello Antonino”. Grado ha affermato che Mangano e Dell’Utri si davano del tu.  Il pentito, ha ricordato il suo avvocato, è stato considerato dalla Corte di Appello  di Palermo come un teste di “assoluta attendibilità” e quello che ha detto conferma le ricostruzioni storiche (tra cui quella con tenuta nel mio libro Il populismo autoritario apparso nel 2010 da Baldini Castoldi Dalai) sul ruolo avuto dal mafioso palermitano in un cavaliere che a quei tempi temeva l’ostilità di Cosa Nostra e addirittura di poter essere sequestrato. Insomma un altro dei molti tasselli che si accumulano su quel drammatico ventennio populistico di cui non sappiamo ancora tutto l’essenziale.


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