Obama e Castro, la guerra fredda sembra archiviata dalla storia

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E’ in queste ore che si sta svolgendo a Panama City, l’atteso Summit of Americas, che vede riuniti tutti i principali Capi di Stato americani, tra cui Correa per l’Ecuador, Morales di Bolivia, Santos di Colombia, e ovviamente Obama e Raul Castro che sono gli ospiti di onore, in attesa del loro suggello alla fine del “bloqueo” di Cuba e il ripristino dei rapporti tra USA e l’isola caraibica. Non si sa ancora se Maduro, presidente venezuelano, interverrà al Summit, data la recente rottura dei  rapporti diplomatici con Panama e le sanzioni statunitensi ai danni del Venezuela. Obama e Castro si sono già parlati per telefono, e il presidente cubano ha ufficialmente dichiarato che il suo interlocutore non ha alcuna colpa del retaggio della guerra fredda, che ormai sembra archiviata nella storia.

Il Canto di Obama in Giamaica

Barack Obama doveva avere fin da giovane un debole per Bob Marley, se la prima cosa che ha fatto al suo arrivo in Giamaica, mercoledì sera 8 aprile, è stata quella di precipitarsi con il suo staff alla casa-museo dell’artista scomparso a Hope Road  Kingston, far aprire i cancelli a un insonnolito custode, ed entrare nella Hall of Fame per ammirare i dischi d’oro e di platino della collezione. Il suo entusiasmo, l’ha trascinato a togliersi giacca e cravatta, e intonare alcuni dei capolavori, tratti da Exodus e Legend, i suoi preferiti, per la gioia esterrefatta dei presenti; è molto probabile che Rita, moglie e manager implacabile di tutto ciò che concerne l’eredità di Big Bob, si sia sfregata le mani, assaporando la pubblicità che il presidente ha portato alla sua causa e agli affari; se mai ce ne fosse stato bisogno.

Petrolio venezuelano e gas americano

Il mattino dopo, la visita di rito, a firmare il librone delle presenze alla Jamaican House; la Primo Ministro Portia Simpson, tutta in ghingheri e trafelata, colta dai fotografi nell’atto di sussurrare al suo orecchio, lo deve aver confuso fino al punto di fargli sbagliare la data, 10 aprile invece del 9.

Probabilmente il presidente aveva già la testa al summit di questi giorni a Panama City, dove è attesa la sua storica stretta di mano con il fratello del Lìder Màximo, Raul Castro. Prima del meeting pomeridiano con i giovani leader del CARICOM (Caribbean Community) per discutere il destino del petrolio venezuelano di Petro Caribe, che dal 2005 termina il suo percorso nelle pompe di una decina di Stati, oltre alla Giamaica, quali Saint Vincent & Grenadine, Antigua e Barbuda, St Kitts, St Lucia, Dominica e Grenada, i due ministri dell’Energia, Ernest Monitz per gli USA e Philip Paulwell per la Giamaica, si erano già incontrati alle 10.30 per siglare un accordo epocale, che entro la fine dell’anno consentirà al gas liquido statunitense (LNG) di arrivare in Giamaica; non si sa ancora a quale prezzo e condizioni.

Quaggiù non è mai esistito il gas da autotrazione, e la benzina è mostruosamente cara, per uno stato delle Americhe; la “90”, costa circa un dollaro e mezzo al litro; predomina il crudo texano, contrastato solo da quello di Petro Caribe appunto, che oltre a costare di meno, consente dei pagamenti  a lunga scadenza. Però Portia non si è fatta sfuggire occasione di incassare almeno questo risultato, aldilà delle performance canore del prezioso alleato. L’atteso speech a UWI, l’Università delle West Indies, è stato preceduto da una protesta dei gruppi omofobi, contro le aperture del presidente ai gay e matrimoni tra individui dello stesso sesso.

Obama ha scelto il gotha universitario, per dichiarare che gli Stati Uniti investiranno circa 70 milioni ai fini di migliorare l’istruzione dei Caraibi e America Latina; ciò ha fatto l’effetto di una provocazione, considerando che proprio la Giamaica è il fanalino di coda in questo settore; meno del 10% dei cittadini si può permettere di avviare i propri figli agli studi universitari, e anche l’istruzione media è carente; il numero delle high schools (scuole medie) è ridicolo a fronte di oltre tre milioni di individui.

La raffica di domande che ha investito Obama, è stata suggellata dalla punzecchiatura di un anziano rasta, che gli ha chiesto cosa egli pensasse della recente introduzione della modica quantità di ganja (marijuana) nella legislazione del Paese, dopo decenni di repressione. Il presidente ha tergiversato, inciampando nelle parole, visibilmente imbarazzato.

Alla fine se l’è cavata dicendo “it is not a silver bullet” non è un proiettile d’argento, riferito alla legge che, a suo parere, non risolve i problemi della disoccupazione, temendo invece ripercussioni negative. Una posizione comprensibile; egli è il leader di un Paese che nei confronti di droghe e quant’altro, è sempre stato poco elastico e punitivo, tranne che nel Colorado e ironicamente, lo Stato di Columbia, dove proprio nella capitale Washington, la ganja è decriminalizzata.

Obama è amato dai giamaicani, che vedono in un presidente nero il riscatto di secoli di schiavitù ed emarginazione, che dura tuttora nei confronti di coloro che il Padreterno non ha dotato di una “light complexion” la carnagione chiara, che qui consente posti di lavoro dignitosi e salari più alti. Ciò non toglie che l’incognita di riportare l’isola sotto il controllo ancora più serrato a livello commerciale degli Stai Uniti, sia fonte di preoccupazione. Specie a fronte della fine del suo mandato, che non è lontana.

fonte: il manifesto


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