Note a margine del corteo di Parigi

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Anch’io piango i morti di Parigi. Li piango insieme ai 2.000 morti della Nigeria, alla decenne imbottita di esplosivo e fatta esplodere in un mercato per aumentare il numero delle vittime da piangere. Piango questi morti insieme a tutti gli altri, tanti: del Kossovo dell’Irak (recenti e passati), della Siria, del Kurdistan, dell’Afganistan, di New York, della Libia, etc. etc., del Mediterraneo.

Anch’io protesto per la violazione della libertà. Di tutte le libertà, non solo quella di satira e di stampa. In primo luogo della libertà di vivere liberi e in dignità, della libertà dal bisogno, della libertà di pensiero e di studiare (perché per pensare occorre imparare ad apprendere), della libertà di amare “ognuno come gli pare”.
Per questo piango e protesto, ma a casa mia e non a Parigi dove non sono presente né fisicamente, né idealmente. Perché lì il pianto e la protesta mi sembrano parziali.
Lì si invoca una sola delle tante libertà che vanno affermate e difese e la si assolutizza; ed io sono contro tutti gli assoluti, perché qualsiasi valore si assolutizzi si negano in tutto o in parte tutti gli altri.
Non c’è alcun profeta, comunque si chiami, come non c’è alcun dio, qualsiasi sia il nome con il quale uomini e donne lo invochino, in nome del quale sia lecito uccidere. Come non c’è nessun valore per il quale si possa farlo: né per la democrazia, né per il popolo, né per la nazione, né per la sicurezza, tampoco per il petrolio e per il tenore di vita e neppure per la libertà; forse, in qualche caso, solo per la libertà di un popolo, ma non ne sono del tutto sicuro. Poiché penso che alla forza delle armi vada opposta, almeno se e quando possibile, la forza della ragione e del diritto. Se alla morte si oppone la morte, chi ne esce sconfitta è la Vita.
In questi giorni, a Parigi si è avuta la dimostrazione che la FORTEZZA EUROPA non è inviolabile, che in epoca moderna fortezze inviolabili non ce ne sono più e che la sicurezza non si assicura con la forza, l’intelligence, le tecnologia, ma solo se si realizza una convivenza pacifica in quanto basata sulla giustizia e sulla credibilità.
Bisogna perciò cominciare a smascherare le mistificazioni. La forsennata deriva di quello che chiamiamo ed ama farsi chiamare radicalismo mussulmano non nasce dal Corano, come il fondamentalismo sionista non nasce dalla Bibbia, come non si trova nei Vangeli che si dovessero bruciare le “streghe” e gli eretici. Dottrine e teorie che si ammantano di religiosità sono in realtà costruzioni culturali che dietro i fanatismi celano ambizioni e scontri di potenza, nonché intrecci di interessi che hanno a che vedere, gli uni e gli altri, direttamente o indirettamente con le dinamiche subdole e qualche volta palesi degli imperialismi.
Se cominciamo a svelarlo, cominciamo a lavorare per la pace. Se proviamo a comprendere da quali radici nasce la follia, cominciamo a sanarla.


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