Lettera a un ragazzo che non crede più alla politica

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Caro Marco,

sinceramente ti capisco. Dopo ciò che è avvenuto a Roma, capisco la tua rabbia, il tuo sgomento, la tua disaffezione, il tuo non credere in più in nulla e in nessuno, il tuo desiderio di scappare da un Paese che prima ti costringe a studiare in una scuola e in un’università senza fondi e con programmi sempre più inadeguati e poi, dopo averti faticosamente formato, ti condanna a una vita precaria, senza tutele, senza dignità, senza alcun diritto se non quello di emigrare in cerca di una nazione meno stupida e meno delittuosamente inospitale della nostra. E capisco anche la tua incredulità di fronte alle vicende di quest’ultima settimana: il degrado evidente della politica, la dissoluzione del concetto stesso di partito e l’approvazione “manu militari” al Senato del Jobs Act per compiacere gli industriali e il mondo della finanza, dei quali il Premier adora circondarsi e tessere le lodi, arrivando addirittura a definirli pubblicamente “eroi”. Mica come quei frenatori della CGIL e adesso anche della UIL! Mica come gli operai che manifestano per difendere le loro fabbriche dalle delocalizzazioni selvagge delle multinazionali che, dopo essersi arricchite a più non posso, decidono di andare ad arricchirsi ulteriormente in paesi dove la manodopera costa un terzo della nostra, l’articolo 18 non è mai esistito e i diritti e le tutele dei lavoratori sono argomenti sconosciuti! Mica come quegli studenti rompiscatole che, non comprendendo le magnifiche virtù della riforma scolastica Renzi-Giannini, stanno occupando i propri istituti per inviare al governo un netto segnale di dissenso! Loro sì che sono eroi, tanto che adesso circola pure la voce di una possibile ascesa della Marcegaglia al Colle, affinché sia chiaro a tutti chi comanda e quali sono i suoi obiettivi.

Capisco anche che a te, che hai più o meno la mia età, una discreta cultura, buoni studi alle spalle e una passione civile che ti ha indotto in questi anni a partecipare a cortei e manifestazioni, referendum e battaglie sociali di grandissimo valore, la politica di questi non partiti dica poco o nulla. Sarei, inoltre, ipocrita se negassi che pure per me, ormai, andare a votare è diventata una sofferenza perché, al momento, non c’è un partito, un movimento, un’area culturale e politica che mi rappresenti: non a destra perché non mi sono mai riconosciuto in quella visione del mondo, non a sinistra perché, purtroppo, qui da noi, abbiamo una sinistra arresa e subalterna al liberismo che da vent’anni ha smesso di svolgere il suo mestiere in difesa degli ultimi, degli emarginati, dei deboli. Verrebbe da dire, con una battuta, che voterei volentieri per papa Francesco, ma so che non si candiderà mai e, dunque, pur stimando don Ciotti, padre Alex Zanotelli e tutti quei “pretacci” da marciapiede (come li chiamava l’indimenticato Candido Cannavò), sono cosciente del fatto che non potrà salvarci nemmeno la dottrina sociale della chiesa: la sua parte migliore, quella che davvero si ispira alla parola di Dio senza subire il fascino e il richiamo del denaro, del potere e degli affari. No, caro Marco, mi spiace ma dovremo provvedere in prima persona, metterci in gioco, dare una mano alla comunità e non tirarci indietro, anche perché farlo adesso sarebbe un tradimento nei confronti di tutte le persone oneste che anche stavolta hanno deciso di rimboccarsi le maniche, di partecipare ad assemblee e confronti pubblici, di tornare a impegnarsi nei circoli e nei consigli circoscrizionali e, magari, in qualche caso, anche nei consigli comunali e regionali o in Parlamento perché è vero che esistono delle mele marce, è vero che sono potenti, difficili da estirpare ed estremamente avide nell’accumulare soldi e potere però è altrettanto vero che si tratta, grazie a Dio, di un’esigua minoranza.

Caro Marco, non ti conosco ma ti immagino come uno dei tanti ragazzi di sinistra che magari a maggio ha votato Tsipras sperando che questa nostra sinistra perdesse il tragico vizio di dar vita alla scissione dell’atomo al termine di ogni elezione andata male e persino le rare volte che le cose vanno bene. O magari hai votato PD sperando che Renzi ricalcasse i toni di Grillo in campagna elettorale per prosciugare lo stagno del malcontento in cui nuota a meraviglia la parte peggiore del grillismo ma poi, una volta ottenuto il risultato, cominciasse a governare saggiamente, ascoltando i sindacati e le associazioni di categoria, rispettando la Costituzione e avviando una politica di riforme davvero progressista e nell’interesse del Paese. Certo, siamo in regime di larghe intese e senza Alfano, al Senato, la maggioranza non esiste, ma noi ci saremmo accontentati di un Renzi in stile Letta: un buon governante che, nonostante le difficoltà, non è mai venuto meno allo spirito e agli ideali di una sinistra moderna ed europea, difendendo alcune delle nostre storiche battaglie e tentando di non escludere nessuno neanche nel momento della massima frammentazione sociale e politica. E lo stesso avrebbe fatto Bersani se solo i centouno non avessero deciso, nel segreto dell’urna, che la corsa sua e quella di Prodi era giunta al capolinea, ma non è questa la stagione dei rimpianti: non ce lo possiamo permettere. Questo dev’essere davvero un tempo nuovo: il tempo in cui la nostra generazione, che si affaccia alla politica e al mondo in una delle fasi peggiori per l’umanità, deve avere l’umiltà di studiare e farsi avanti a piccoli passi, senza “rottamare” né calpestare l’esperienza e le capacità di chi ne sa più di noi, ma anche il coraggio di dire la sua, di proporsi, di offrire un’alternativa che, possibilmente, nasca dalla miriade di esperienze che abbiamo affrontato e vissuto in questi anni. Occorre il coraggio di dire che niente avviene mai per caso, che chi ha determinate frequentazioni può anche essere innocente agli occhi della legge ma è meglio che cambi rapidamente mestiere, che partiti privi di ideologia, modelli e punti di riferimento non hanno alcun senso, che i finanziamenti pubblici alla politica e all’editoria costituiscono un deterrente nei confronti delle cricche e devono essere ripristinati quanto prima, che il problema non sono le preferenze e il contatto con i cittadini ma i punti oscuri, le zone grigie, i pacchetti di tessere e di voti in mano a questo o quel capobastone e i contatti con chi arriva a speculare persino sui campi rom, che il maggioritario ha acuito il distacco dei cittadini dalla politica e che l’unica legge veramente rispettosa dello spirito della Costituzione è il proporzionale puro pensato dai costituenti. Dopodiché, chiarito il punto di partenza, mettiamoci al lavoro perché se si arrende la nostra generazione, si arrende il Paese: e questo, oltre a non potercelo permettere, non è nemmeno giusto.


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