No, non è un dovere di tutti. E forse nemmeno una sciagura

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Scrive Alfredo Reichlin, a proposito delle voci sempre più pressanti di scissione nel Pd, tanto da essere evocata anche nelle parole dello stesso Renzi, che un’eventuale rottura “non riguarderebbe solo il mondo politico. Si ripercuoterebbe sulla tenuta del Paese e sarebbe una sciagura per tutti. È dovere di tutti evitarla”.

Quando un politico del suo calibro svolge un ragionamento di tale natura, non penso mai di poterlo superare con un’alzata di spalle. Su scissioni e vita nei partiti, durante i suoi quasi novant’anni, ha raccolto tanta di quella esperienza che solo un folle potrebbe ignorarla e considerarla un inutile retaggio del passato. E poi, la sua conoscenza e cultura, gli anni dell’impegno sulla questione meridionale in Puglia, il lavoro all’Unità, la collaborazione con Berlinguer, la vicinanza a Togliatti prima e a Ingrao poi, la comunanza di vita e di esperienza politica con Luciana Castellina; Reichlin è un monumento, e non può essere ignorato. Anche quando con lui non si è d’accordo.

Questa volta, come altre, non mi ritrovo in quello che scrive. Ma è importante leggerlo, perché centra un tema fondamentale per tutti quelli che provengono dalla sua stessa tradizione. Per lui, “l’Italia non si salva senza un grande patto sociale e civile tra gli italiani”, e per questo motivo, sia la maggioranza del Partito democratico, sia la minoranza, hanno il dovere di ricercare e perseguire quell’unione. Il limite che egli segna e pone quale confine, è lo stesso che frena politici che alla storia e all’idea che ispira Reichlin sono tanto legati da non saperne vedere un’altra. Come Bersani, ad esempio, che prima ancora di spingere o tirare il partito su posizioni diverse da quelle che vuole l’attuale dirigenza, dichiara che, in ogni caso, “sarà leale alla dittà” e voterà come questa decide.

Ho grande rispetto di simili convinzioni, e la segreteria di Bersani è stato il motivo principale per cui mi sono convinto ad aderire al Pd. Ma che senso ha fare una battaglia politica già sapendo che, comunque, non la si porterà alle estreme conseguenze, e dichiarandolo pure in anticipo? “Se tanto, alla fine, voterai come voglio”, potrebbe pensare il segretario del partito, “è inutile perdere tempo in mediazioni”. Infatti, questo accade.

Capisco quell’orizzonte, però non lo condivido affatto. Non lo condivido perché, se da un lato può essere vero che l’Italia abbia bisogno di un patto civile fra i suoi cittadini, non è per nulla scontato che tale patto debba essere assunto all’interno di uno stesso partito. Se è un patto fra le parti, anzi, al massimo può essere logico che avvenga fra partiti e soggetti della rappresentanza differenti. Ed è poi tutto da dimostrare che fra questi sia necessario proprio un patto, nel senso di un accordo, e non la semplice, e democratica, risultanza del confronto che nasce dal conflitto tra interessi naturalmente divergenti.
Ecco perché, secondo me, non è affatto responsabilità di tutti evitare quella frattura; potrebbe invece essere più responsabile non opporvisi. Perché, magari, non è nemmeno “una sciagura”. La democrazia funziona nella dialettica fra le posizioni differenti, non nell’annullamento di queste in un solo contenitore. Se all’interno dello stesso soggetto politico debbono convivere le forze della sinistra che rivendicano i diritti del lavoro e dei lavoratori e quelle della reazione più retriva, che vorrebbero interventi normativi per limitarne addirittura quello allo sciopero e alla protesta, chi parla di giustizia sociale e quanti la vorrebbero sostituire con la più spietata competizione, coloro che cercano le strade per avvicinarsi sempre un po’ di più a quell’antico e vero ideale dell’uguaglianza e quelli che pensano che a queste basti sostituire il falso mito della meritocrazia, allora qualcosa non funziona.

E non per un’insana vocazione scissionista e minoritaria, ma per non confondere le parti; perché il tutto non è rappresentabile in un unico soggetto politico, e soprattutto perché il rischio è scambiare per vocazione maggioritaria l’ansia di essere parte della maggioranza a tutti i costi e in qualunque situazione, con un partito che, più che Nazione, si fa Stato, solo veicolo per raggiungere l’amministrazione e il governo, la rappresentanza e l’istituzione.

Una melassa unificante e omologante, capace di annullare dialettica e confronto nell’indistinta ricerca del posizionamento individuale o di gruppo, è uno scenario francamente peggiore degli esiti di qualsiasi possibile divisione.


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