Crimini ispirati dall’odio. Importante anche per i giornalisti saperli riconoscere

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Per una settimana l’OSCE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico –  la maggiore istituzione regionale per la sicurezza al mondo. e in particolare l’ODIHR – l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani – sarà in Italia per il programma di formazione sugli Hate Crimes – crimini ispirati dall’odio.

Il 30 giugno e 1 luglio è stato il turno dedicato alla società civile e in particolare alle associazioni che si occupano dei gruppi vulnerabili, vittime di discriminazioni.

Sono stati formati 26 rappresentanti di associazioni che si occupano di omofobia e transfobia, disabilità, di migranti e di minoranze religiose ed etniche, quali i Rom e Sinti. Giovani donne musulmane insieme a rappresentanti delle comunità ebraiche e testimoni di Geova si sono confrontate per 2 giorni con attivisti disabili e con chi lavora con migranti e richiedenti asilo, raccontando storie e vissuti anche personali, ma cercando di comprendere il valore del fare rete contro le discriminazioni.

Una due giorni fondamentalmente dedicata a capire come e quando si può parlare di crimini ispirati dall’odio, e quali strategie adottare per sostenere adeguatamente le vittime.

I dati sull’Italia dell’ultimo rapporto OSCE del 2012 parlano di 71 casi registrati dalle forze di polizia e di 10 sentenze relative ai crimini ispirati dall’odio, ma la stessa organizzazione internazionale ha richiesto più volte alle istituzioni preposte e anche alle associazioni di provvedere a fornire dati più attendibili sulla base di indicatori precisi che configurano il reato ispirato dall’odio.

A detta delle associazioni le barriere che portano ad una sottorappresentazione del fenomeno sono varie. I gruppi vulnerabili conoscono poco i propri diritti e quando li conoscono hanno scarsa fiducia nelle istituzioni. Spesso è alto anche il rischio di ritorsioni e quindi di essere vittime due volte, prima degli aggressori e poi talvolta anche delle istituzioni che dovrebbero tutelarle. Non a caso sono stati raccontati casi specifici relativi alle violenze commesse contro migranti irregolari o nei confronti di prostitute.

E’ per questo che l’OSCE lavora sia con le associazioni che possono far crescere la consapevolezza nei gruppi vulnerabili, sia con le forze di polizia e con la magistratura.

Oggi e domani saranno infatti le forze di polizia e in particolare i formatori della Scuola di Polizia e dell’arma dei Carabinieri che discuteranno con gli esperti di ODHIR su come riconoscere un crimine legato all’odio e al pregiudizio e quali misure adottare per delle indagini efficaci.

Ricordiamo infatti che il 29 maggio 2013 l’OSCAD – l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti Discriminatori – della Polizia di Stato ha aderito al programma di formazione denominato TAHCLE (Training against hate crime and law enforcement) attraverso la firma di un Memorandum of Understanding con l’OSCE.
Il programma ha l’obiettivo di facilitare e uniformare l’addestramento delle Forze di Polizia italiane nelle attività di prevenzione e repressione proprio degli Hate Crime (crimini ispirati dall’odio).

Nel 2013 fu il vice capo della Polizia Francesco Cirillo a siglare il memorandum e a sottolineare la necessità di avere conoscenze specifiche e metodi più efficaci per far fronte ai crimini d’odio, anche per incrementare le capacità di interazione con le vittime per creare fiducia reciproca tra i diversi attori.

Con un nuovo sistema di raccolta dati da parte delle forze di polizia che evidenzi il carattere discriminatorio e ispirato all’odio di una violenza o di un reato sarà doveroso anche per noi giornalisti confrontarsi con questa sottorappresentazione che nega visibilità a storie spesso drammatiche e degne di cronaca e denuncia.

Proprio ieri la cronaca milanese del Giornale riportava un fatto di cronaca che secondo gli esperti dell’OSCE o doveva essere monitorato come un possibile crimine ispirato dall’odio.  Ignoti hanno sparato colpi di piccolo calibro contro delle roulotte in cui dormivano dei Sinti nella provincia di Monza. Merito del quotidiano averlo segnalato anche con l’occhiello  “Vimercate allarme intolleranza”. Meno comprensibile il tono quasi “giustificatorio” di alcuni passaggi dell’articolo . “Qualcuno potrebbe dunque
aver agito «a scopo precauzionale», per far capire agli zingari che la loro presenza non era gradita”. La responsabilità del giornalista impone che si debba essere coscienti e consapevoli anche della definizione di incitamento all’odio, che come afferma la raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1997, non solo comprende le forme di espressione che incitano e promuovono le forme di odio basate sull’intolleranza ma anche quelle che giustificano le discriminazioni e l’ostilità contro le minoranze.

Anna Meli


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