La questione meridionale

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Negli ultimi giorni i media italiani hanno scritto e detto, in tutte le salse, che il divario tra Nord e Sud è cresciuto ed è diventato il doppio rispetto a qualche anno fa. Del resto, vale la pena ricordare che, dieci anni dopo l’unificazione nazionale, nel 1871 la differenza tra il Sud e il Nord registrava, fatta cento l’Italia, il Mezzogiorno presentava il 90 per cento e il Centro Nord centosei. La differenza era del 19 per cento. Un meridionale guadagnava in media 1844 euro all’anno (cioè 154 euro al mese e 5 euro al giorno) e un cittadino del Centro-Nord duemilacentosettantadue euro all’anno, ovvero 181 euro al mese e 6 euro al giorno.

Le gerarchie interne al Mezzogiorno, peraltro, non erano cambiate: nel senso che la Campania, se diamo  all’Italia un valore cento, aveva un PIL  del 107 per cento e la Calabria e la Basilicata, rispettivamente con 69 e 67 rappresentavano la periferia dell’Italia meridionale. Se guardiamo una dimensione fondamentale della modernità che riguarda l’istruzione, scopriamo che oltre due terzi degli italiani, nel momento dell’unificazione nazionale, risultavano analfabeti mentre l’analfabetismo era molto più alto nel Mezzogiorno dove la media saliva all’84 per cento mentre nel Nord-Ovest scendeva già al 45 per cento.

Nei quarant’anni successivi, dal 1911 al 1951( con in mezzo il fascismo e due guerre mondiali) le cose andarono decisamente meglio, soprattutto riguardo al divario Nord-Sud. Peraltro la riduzione dello stock degli analfabeti, riflettendo – solo in parte – la variazione dei flussi, appare più faticosa e lenta dell’innalzamento del tasso di scolarità. Bisogna, insomma, parlare, per quanto riguarda l’istruzione e le condizioni di vita di modernizzazione passiva nel senso in cui Vincenzo Cuoco parlava, nel suo libro, della rivoluzione napoletana del 1799. Nell’Italia di oggi, vanno di moda anche una serie di luoghi comuni che danneggiano l’intero Paese. Vale la pena enumerarli uno per uno: l’Italia senza il Sud sarebbe più ricca, l’Italia meridionale richiede dallo Stato un fiume di denaro, il Sud è la terra dello spreco e un euro al Sud produce molto meno che nel resto del Paese ed è il Nord che lavora e che mantiene il Sud parassita.

Luoghi comuni che hanno fatto molta strada ma basta passare, da quel che dicono i media e leggere gli studi di uno studioso come Gianfranco Viesti che insegna Economia all’Università di Bari e che ha scritto ormai venti anni fa, tra molti, un saggio magistrale intitolato La grande svolta. Il Mezzogiorno negli anni novanta, edito da Donzelli, per arrivare a conclusioni del tutto differenti. E molto meno negative, visto che proprio la Banca Mondiale degli Investimenti ha deciso (e ne ha parlato Amedeo Lepore in un saggio appena uscito per l’editore Rubettino) di intervenire anche nel Mezzogiorno italiano dettando, in questa maniera, un vero e proprio modello per lo sviluppo economico italiano.


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